Sabato 24 febbraio, in seguito all’appello di GPI Giovani Palestinesi in Italia, si terrà a Milano una manifestazione nazionale per il “cessate il fuoco”. La giornata si preannuncia ricca di partecipazione e contiene in sé tutte le caratteristiche per una reale convergenza tra le tante realtà e singolarità che in questi mesi si sono mobilitate per la Palestina in tutti gli angoli del Paese.
La manifestazione avviene in una fase estremamente delicata, in seguito alla decisione del premier israeliano Netanyahu di rifiutare qualsiasi proposta di cessazione delle ostilità e di proseguire con la “guerra totale”. A questo si aggiunge un’escalation militare nella regione che è un dato di fatto già da alcuni mesi e che vede l’Italia impegnata in prima linea, come leader della missione militare europea per “la salvaguardia del naviglio commerciale in transito nel Mar Rosso”.
In questo contesto abbiamo assistito, durante il festival di Sanremo e non solo, alla messa in onda della più becera forma di informazione di regime, con tutti i vertici Rai impegnati a criminalizzare le naturali manifestazioni di solidarietà nei confronti di chi oggi vive sotto le bombe.
Sabato 17 febbraio saremo anche a Verona per contestare la Fiera delle armi: l’economia bellica si basa essenzialmente sulla scommessa che i conflitti possano moltiplicarsi e proseguire, e poco importa se la crescita di questo settore sia fatto sulla pelle di chi le guerre non le decide ma le subisce.
L’economia bellica sta crescendo con percentuali impressionanti, gli USA primo produttore mondiale hanno venduto armi per 238 miliardi nel 2023 con un aumento del 56% rispetto al 22. Anche le industrie italiane con Leonardo stanno traendo grandi benefici da questa situazione mentre la spesa per esercito e armi in Italia nel 2024 toccherà i 24 Mld, oltre al fatto che è stata tolta l’Iva dalle armi, tutti soldi che verranno tolti alle spese sociali, sanità, scuole, pensioni, salari, sussidi ai poveri, solo per citarne alcuni. soldi che potrebbero servire per migliorare la vita di tutti e arricchiscono chi invece guadagna sulla morte.
Nel frattempo, il numero dei morti a Gaza ha toccato quota trentamila (stiamo parlando di una media di 250 persone al giorno uccise in un lembo di terra che supera a stento 350 km²!) e l’espressione “genocidio” non è più un tabù, visto che anche la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha ordinato a Israele di prendere tutte le misure in suo potere per prevenire atti di genocidio a Gaza in base all’istanza presentata dal Sudafrica nella quale si accusava Israele di “Intento genocida evidente e sistematico”
Ma questa parola “genocidio”, vietata nei media di regime, è ormai un fatto inconfutabile. Di fronte a questo livello di violenza sistemica, come scrivevamo dopo l’appuntamento alla Fiera dell’Oro di Vicenza, la discussione attorno al concetto di radicalità diventa assolutamente stucchevole: niente può essere “all’altezza” di questo sterminio di massa, ed allo stesso tempo è necessario non interiorizzare una condizione di ineluttabilità, di resa manifesta di fronte a una condizione storica in cui guerra e oppressione totalizzano qualsiasi forma di vita.
Con la manifestazione di Vicenza abbiamo provato ad aprire uno spazio politico, perché è questo che i movimenti devono poter e saper fare in ogni situazione: ridare speranza alla dignità, sovvertire le narrazioni, interpretare un sentire maggioritario, che è quello di porre fine a un tentativo di pulizia etnica in atto e a un mondo in cui la guerra globale fa da padrona. Gli spazi diventano virtuosi quando hanno una prospettiva temporale di continuità e una politica di allargamento.
Ed è per questo che riteniamo importante costruire uno spezzone che indichi chiaramente il nesso tra la lotta alla guerra globale e la solidarietà al popolo palestinese. Le due cose non si reggono separatamente, perché non esiste solidarietà internazionale se non riusciamo a immaginare nuove forme di vita oltre la guerra, e non esiste una pace che non implichi la lotta per l’autodeterminazione, contro il colonialismo e per l’emancipazione collettiva.