Una nave con 42 esseri umani a bordo attende da due settimane al largo dell’isola di Lampedusa. Sono persone in fuga dalla guerra, dalla miseria, dalla prigionia. I responsabili di quelle guerre e di quella miseria siedono nei Parlamenti e negli uffici aziendali italiani ed europei. Gli stessi che ora si rimbalzano, da Roma a Strasburgo, la responsabilità di farli scendere a terra.
Noi non siamo degli eroi, né dei politici. Qualcuno ci ha definito “piantagrane”. Siamo semplici lavoratori del porto di Genova ma proprio perché lavoratori, non possiamo che riconoscerci nei valori fondanti del movimento operaio: la fratellanza tra esseri umani, la solidarietà internazionale. Perché sappiamo bene, come lo sanno tutti, che quegli uomini e quelle donne in fuga e in cerca di speranza finiranno, in Italia come altrove, a fare i lavori più sfruttati e per quattro soldi, braccati, arricchendo proprio quelli che gridano ai 4 venti che non li vogliono e che “devono tornarsene al loro paese”.
Ebbene, loro vengono qui proprio perché i nostri governi hanno distrutto i loro paesi.
Crediamo che se la Sea Watch 3 forzerà il blocco che il Governo vuole mantenere, essa dovrà trovare una solidarietà concreta e attiva e tutta la forza di cui i lavoratori e gli antirazzisti saranno capaci. Per quanto ci riguarda, la Sea Watch 3 può fare rotta verso il nostro porto, per noi saranno i benvenuti. Possiamo bloccare i porti, ma anche aprirli.
Nelle ultime settimane abbiamo bloccato, non da soli certamente, per due volte il carico di una compagnia – la Bahri – specializzata in traffico d’armamenti, così come siamo stati in piazza per “spiegare” ai fascisti e a chi li proteggeva che nella nostra città non hanno alcuna speranza.
Mentre s’avvicina il 30 giugno e Salvini pensa di fare un’altra visita a Genova noi non possiamo che ricordare a tutti, e innanzi tutto a noi stessi, che un altro caposaldo della tradizione operaia è la lotta.
Sappiamo come bloccare i porti, possiamo farlo ancora.
CONTRO IL RAZZISMO DI STATO E DELLA FORTEZZA EUROPA
PORTI CHIUSI ALLE GUERRE
PORTI CHIUSI AL RAZZISMO