Lo scorso Giovedì l’Amministrazione comunale ha firmato il nuovo accordo territoriale che rimodula parametri e regole di applicazione del canone concordato (anche detto calmierato) nei contratti di locazione privati, strumento pensato per agevolare la stipula di contratti regolari e a prezzi di affitto maggiormente fruibili rispetto a quelli del mercato privato.
L’Amministrazione comunale l’ha definito un accordo storico. Certo lo è, visto che finalmente l’Assessorato alle Politiche Abitative è riuscito a far sedere ad un tavolo di confronto le organizzazioni dei proprietari edili, forse per la prima volta dal 2011, prima elezione del nostro Sindaco Gnassi, ma ancora troppo poco per la grave condizione che caratterizza la situazione abitativa del nostro territorio.
Il canone concordato prevede la divisione della mappa cittadina in aree – quattro nel nostro caso, dalla Zona 1, più vicina al centro storico, alla Zona 4, la più periferica – per ognuna delle quali viene corrisposto un valore minimo e uno massimo del prezzo dell’affitto di un alloggio al metro quadro. Tra le novità del nuovo accordo troviamo l’allargamento della Zona 1 (quella con i prezzi al mq più alti) è ciò significa allontanare dal centro città (dove vi è la concentrazione più elevata di servizi, scambi e relazioni) la maggior parte delle persone mentre contemporaneamente si è provveduto a ridurre la mobilità pubblica e il trasporto locale verso le frazioni. La potremmo definire una piccola e acerba forma di gentrification?
Altro passaggio presente nel nuovo accordo è il seguente: “Al contrario vengono abbassati gli alloggi che presentano standard di qualità molto bassi, fermo restando l’obbligo che tutti gli impianti siano conformi alla legge”.
Nuovamente, come nel punto precedente, si riduce la possibilità di scelta per chi ha ridotte possibilità economiche: se sei povero/a o ti accontenti degli alloggi fatiscenti o con grossi consumi energetici dovrai scegliere tra pagare l’affitto di un alloggio dignitoso o fare la spesa o pagare le utenze.
Sulla conformità e le condizioni in cui vengono affittati gli alloggi ci sarebbe da aprire poi una parentesi non piccola. Tre quarti delle persone che si sono rivolte allo Sportello per il Diritto all’Abitare dell’ADL Cobas (che non è stata sentita ne coinvolta in questo percorso/accordo) in questi anni perché sotto sfratto vivevano in alloggi non a norma, ricavati da ex cantine o garage. Mancavano le altezze minime previste dalla legge e il numero delle finestre era insufficiente. Nella stragrande maggioranza si è trattato inoltre di alloggi insalubri, con presenza di muffe, umidità, affittati senza il rispetto da parte dei proprietari dei punti menzionati nel contratto di locazione, sfruttando da parte di questi ultimi lo scarso budget disponibile dei futuri locatari.
Più volte abbiamo denunciato agli Ufficiali Giudiziari (che peraltro si recano in loco durante l’accesso dello sfratto e quindi vedono con i loro occhi le condizioni degli alloggi) e presso gli Ufficio casa la diffusione di questo aspetto senza ottenere alcuna risposta, se non quella di non essere in possesso degli strumenti per intervenire. Chi se ne dovrebbe occupare allora? Chi deve intervenire in questi casi, chi deve fornire supporto una volta che i locatari denunciano simili condizioni anziché lasciare loro totalmente soli?
Saremmo decisamente molto soddisfatti se realmente la ridefinizione del nuovo accordo territoriale riducesse il numero degli alloggi sfitti (14.000). Al momento però siamo portati piuttosto ad affermare che gli sforzi sul campo del diritto all’abitare devono essere maggiori e di tipo universalistico e strutturale, iniziando ad esempio a promuovere nuove politiche sociali, che con coraggio prendano in mano la situazione del costo insostenibile dell’affitto del mercato di locazione privato, cosa che ad esempio questo nuovo contratto non colpisce così nettamente come vorrebbe far credere. Il costo degli affitti ma anche le caparre e le fideiussioni richieste per la stipula del contratto, rappresentano oggi più che mai un ostacolo e una barriera concreta e notevole nell’accesso ad una abitazione per la maggior parte di noi, persone precarie, con contratti a termine, con stipendi che si aggirano intorno agli 800-900€, per chi studia, per chi si è appena laureato, per chi ha famiglia ma non una rete famigliare alla quale appoggiarsi, per i lavoratori e le lavoratrici in transito nel territorio.. Da qui secondo noi occorre partire.
Accogliamo invece positivamente i dati emersi nell’ultimo Rapporto ISPRA 2018, dove Rimini ha ridotto nell’ultimo biennio il consumo di suolo (la seconda in Regione con le percentuali più basse), evitando nuova cementificazione in una provincia che comunque – vale la pena ricordarcelo – è pur sempre quella con la più alta percentuale in Regione di consumo del territorio: 13,7 per cento, ovvero 118 km2 e 351 mq a testa. Crediamo che dopo decenni in cui si sono concessi permessi per costruire in lungo e in largo, l’importanza della riqualificazione e del riutilizzo del patrimonio esistente sia divenuta necessità condivisa e prioritaria. Su questo tema andrebbe ora fatto uno sforzo per riqualificare e dare una nuova funzione abitativa e sociale anche a quelle aree abbandonate da anni (ex industriali ma non solo) con l’obiettivo di incrementare il numero degli alloggi sociali per le persone con difficoltà abitative come si sta facendo per Casa Don Gallo per l’autonomia anche se con tante difficoltà e con tempistiche lunghissime. Assolutamente necessario tutelare e difendere territori e ambiente da nuove colate di cemento e urbanizzazione, ma in questa epoca storica anche la garanzia dell’accesso per tutte e tutti ad un’abitazione dignitosa non può essere meno importante.
A quest’ultimo aspetto si aggiunge anche la difficoltà di reperire alloggi o stanze in affitto da parte di persone straniere, a causa di forme sempre più diffuse e presenti di razzismo sociale che, anche in presenza di persone che possono assicurare garanzie nel pagamento a fronte del possesso di un contratto di lavoro, nonostante questo la risposta da parte dei proprietari di casa è sempre negativa, perché viene data in base al colore della pelle e dal paese di provenienza. Su questo tema, sulla difficoltà e discriminazioni nell’accesso al mercato di locazione privato, che riguarda l’intera cittadinanza senza differenze, siamo intenzionati come Sportello Per il Diritto all’Abitare a proseguire con la Campagna “Una Casa per tutti” (per contatti 349 9745299), con l’intento non solo di capire quanto questo fenomeno sia diffuso e radicato nella nostra città ma anche con l’obiettivo di mettere in contatto e in attivazione quella parte solidale della città, quella che non si piega alla paura e non rimane indifferente a questo stato di cose.
Campagna #UnaCasaPerTutti
(Casa Madiba Network – ADL Cobas)