Presentazione
La situazione emergenziale e di quasi collasso del sistema sanitario, in particolare della sua articolazione ospedaliera, evidenziatasi nel fronteggiare l’emergenza pandemica da covid-19 ha origine dalle colpevoli politiche pluridecennali di tagli finanziari e di indirizzo privatistico della sanità pubblica. Oltre alla mancanza di un piano sanitario nazionale per fronteggiare una possibile pandemia come auspicato da tempo dall’OMS, le carenze strutturali e di personale determinate da queste politiche hanno, in particolare, messo a rischio la vita del personale sanitario negli ospedali e nell’attività di cura sul territorio, evidenziato la carenza di posti letto e di strumentazioni necessarie per fronteggiare emergenze infettive come questa e costretto il sistema ospedaliero ad anteporre la cura delle diverse patologie a favore dell’organizzazione ospedaliera al solo contrasto del contagio da covid-19.
I dati sul personale sono impietosi nel evidenziare i guasti delle politiche di tagli operate in tutti questi anni: tra il 2010 e il 2017 i medici in corsia sono scesi del 4,7% con una contrazione nel 2018 del 5,4% (un nuovo medico ogni quattro usciti per pensionamento). L’Istat sempre nel 2018 ha certificato una perdita nel settore sanitario di 44.000 tempi indeterminati rispetto al 2009. Secondo l’ultima indagine del Cpi (Osservatorio sui conti pubblici) come l’Italia solo la Grecia e la Polonia hanno ridotto in questo modo drastico il rapporto tra personale medico e popolazione, in contrasto con quanto avvenuto nel resto dei Paesi Ocse che hanno, invece, registrato un aumento. Possiamo perciò fregiarci del più alto numero di medici in età superiore ai 54 anni in rapporto al totale e di essere la seconda peggiore percentuale UE per incidenza di under35 sul totale (secondo Istat l’età media del comparto sfiora i 51 anni e 4 medici su 10 superano i 60 anni).
Nonostante ciò il personale medico e infermieristico ha contrastato con professionalità e, purtroppo, con sacrifici in termini di vita, la pandemia sopperendo a tutte le carenze e i ritardi sopra accennati. Al loro fianco hanno lavorato e rischiato la vita anche gli specializzandi “Medici in Formazione Specialistica” come andrebbero chiamati, figure che a seconda delle necessità organizzative degli ospedali svolgono il ruolo di lavoratore o di studente. Una situazione poco chiara, equivoca che le associazioni degli specializzandi denunciano da tempo. Le gravi affermazioni del Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera di Padova che li ha descritti, per stili di vita e comportamento nei momenti di pausa dal servizio, come possibili porpagatori di contagi nei reparti durante questo periodo di contrasto alla pandemia da covid-19 ha trovato una loro decisa risposta ma, soprattutto, a riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica la loro particolare situazione di lavoratori e studenti allo stesso tempo.
Abbiamo per questo deciso di porre alcune domande al presidente dell’Associazione MeSpad di Padova non solo per chiarire una vicenda che ha già avuto spazio nei quotidiani regionali ma anche per fornire un’informazione più completa della loro situazione e delle loro ragioni.
Intervista a Andrea Frascati – Presidente Ass. MeSPad-Federspecializzandi Padova
1. Prima di tutto puoi dirci chi sono e quanti sono gli specializzandi a Padova? Quali mansioni svolgete nell’Azienda ospedaliera di Padova?
Gli specializzandi dell’università di Padova sono 1600, quelli mediamente impiegati in Azienda sono intorno ai 1200. Siamo iscritti a tutte le scuole di specialità, dalla Medicina Interna a Igiene e Medicina Preventiva, da Anestesia e Rianimazione a Genetica Medica, da Medicina d’urgenza ed emergenza a Chirurgia Generale. Le mansioni sono ovviamente diverse da Specializzazione a Specializzazione, ma si può dire che svolgiamo esattamente le stesse mansioni che svolgono i Medici Dipendenti dell’Azienda e i Docenti dell’Università. Siamo medici insomma, operiamo, facciamo guardie, seguiamo letti nei reparti.
2. Durante l’emergenza covid-19 come siete stati impiegati, con quali protocolli e garanzie di sicurezza? Analoghe per capirci a quelle di tutto il personale sanitario dell’Azienda?
I protocolli sono stati per buona parte sovrapponibili a quello del personale sanitario dell’Azienda. Ciò che è certo è che non c’è stata tempestività nel gestire 1600 medici (chi non è a Padova è in altri ospedali del Veneto), i quali potevano essere sicuramente impiegati meglio, in alcuni ambiti di più e in altri giustamente di meno (ha avuto senso continuare a far convogliare in ospedale anche specializzandi non impiegati in attività assistenziali? Probabilmente no, in ottica di contenimento del contagio). Le carenze di DPI sono un tema già trattato ampiamente e che non riguarda solo Padova e l’Azienda, è stato parte del rischio di essere in prima linea in questo momento di emergenza. Certo, alcuni direttori se dovevano centellinare i DPI e scegliere chi poteva anche farne a meno, hanno purtroppo individuato i propri specializzandi come “i più sacrificabili”. E noi abbiamo comunque continuato con abnegazione, per questo fanno male certe dichiarazioni.
3. Il Direttore Sanitario dell’Azienda ospedaliera di Padova Daniele Donato ha recentemente dichiarato che voi specializzandi avendo “una vita sociale molto attiva” e avendo tenuto comportamenti poco attenti durante i momenti di socializzazione fuori dall’attività in reparto, avreste favorito il contagio tra il personale. A supporto di tale affermazione ha snocciolato dei dati: su 8.000 dipendenti, 140 sono risultati positivi, di questi 36 tra i specializzandi ma solo 1 contagiato direttamente da un malato infetto. La vostra reazione è stata molto ferma, indignata e decisa; vuoi dirci quali sono state le vostre risposte a questa posizione e le iniziative che avete immediatamente promosso?
Abbiamo innanzitutto preso posizione. E non è scontato, gli Specializzandi purtroppo sono abituati a chinare la testa troppo spesso. E poi abbiamo richiesto scuse ufficiali, una smentita dei dati non veritieri dichiarati ed un incontro direttamente con l’Azienda per un confronto che a questo punto era diventato imprescindibile.
4. Mi sembra di capire che le scuse un po’ raffazzonate del Direttore Sanitario – probabilmente dettate anche dalle reazioni contrarie alle sue affermazioni dei vertici dell’Università e dello stesso Presidente regionale – non vi bastino in quanto troppo blande e perché sottendono una situazione da tempo difficile per voi specializzandi.
Il problema è che se le scuse sono arrivate, sono sembrate un po’ pro forma, in quanto in più occasioni sono stati difesi e ribaditi i supposti dati su cui si basavano quelle affermazioni, di certo mai smentite. E, come ormai siamo ben troppo abituati, non abbiamo neppure ricevuto risposta alla mail in cui chiedevamo un incontro di confronto urgente. Questo per noi è stato troppo, bastava fare un passo indietro ma evidentemente non siamo stati ritenuto tanto degni di considerazione da concedere un incontro. E’ stato insomma l’ennesimo schiaffo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, in una decennale situazione di sfruttamento in molti ambiti del personale medico specializzando, che non è abbastanza lavoratore da averne i diritti (non abbiamo accesso alla Mensa con la convezione ospedaliera, non abbiamo le divise), e non è considerato studente quando viene lasciato solo a gestire reparti interi di notte.
5. Questo vostro ballare nel doppio e contraddittorio ruolo di studenti e lavoratori a seconda delle necessità dell’Azienda mi sembra sia una delle problematiche centrali della vicenda. Già in passato vi siete mobilitati per un riconoscimento più preciso del vostro ruolo e contributo nella vita dell’Azienda: quali sono secondo voi i passaggi fondamentali da fare per sanare questa contraddizione? Quali richieste avete o volete formulare? Che percorso intendete percorrere nel prossimo futuro? In che forma vi siete associati qui a Padova e nelle altre realtà regionali e nazionali?
E’ una domanda complessa che non può che avere una risposta altrettanto complessa. Chi sta cercando di saltare sul carro degli Specializzandi pensando di trasformarli in lavoratori dall’ingresso in specialità si sbaglia di grosso. Siamo Medici in Formazione Specialistica, e la Formazione è e deve essere un nucleo fondamentale sul quale ricostruire un percorso che però allo stato attuale è anacronistico e non offre né a noi né alle Università né alle Aziende degli strumenti per poter essere giustamente riconosciuti come Medici pur all’interno di un percorso di acquisizione progressiva di competenze. Noi ci auguriamo che la Regione Veneto al tavolo dell’Osservatorio Regionale possa partire dalle piccole cose a sanare questa contraddizione, come la convenzione per l’accesso in mensa e la fornitura di divise per il personale. Il discorso però è e deve essere di più ampio respiro. E’ indubbiamente necessaria una presa di coscienza nazionale sulla necessità di riformare il percorso dei medici Specializzandi. L’associazione locale MeSPad ha gestito, coordinato e organizzato questa iniziativa a Padova, ma a livello nazionale FederSpecializzandi – di cui sono Vicepresidente Nazionale – ha sempre portato avanti questo tipo di ragionamento, che forse adesso comincia a fare finalmente breccia. Credo ci volesse una dimostrazione di consapevolezza come quella che abbiamo dato a Padova.