In questa fase economica, politica e sociale, segnata pesantemente dalla sindemia e dalla guerra incombente sull’Europa, il conflitto sociale è stato ovattato dalle paure, dalle incombenze, dall’incertezze che sono state amplificate dal caotico altalenare dell’informazione, sia pubblica che scientifica. Una situazione sociale di ondivaga crisi generale e di spaesamento, in cui ci sono state inoculate dosi massicce di apatia, di fatalismo, di delega alle istituzioni che non hanno risparmiato alcuno, tantomeno coloro che hanno rifiutato le illiberalità connesse alla vaccinazione di massa, incapaci di vedere aldilà del proprio naso.
In questo contesto la governance della crisi in atto, in appannaggio al Governo Conte bis, è stata, dai ‘poteri forti’, artatamente e forzosamente sostituita da quella, più affidabile e consona, costituita dal principe della finanza internazionale, di Draghi. Il quale è stato presentato al Paese come il demiurgo in grado di coniugare gli interessi nazionali ed europei nella cartografia della geopolitica data, a cui tutti dovevano chinare la testa per salvaguardare nonni e nipotini. E così è stato. ‘Obtorto collo’ per taluni quali i 5 Stelle, che, maggiori depositari in Parlamento del rancore, della rabbia, del livore sociale verso il sistema di rappresentanza politica, si sono sentiti, e lo sono stati, defraudati del mandato elettorale, del loro programma politico, che, nel bene e nel male, una qualche attenzione, nei governi Conte 1 e 2, avevano dimostrato verso le fasce deboli, povere e impoverite della nostra società. Nei giorni pre crisi, non hanno presentato il conto, ma un flebile ‘cahier de doleance’, in maniera criptica e chiuso tra le mura istituzionali, per di più intorbidito dalla disinformazione dominante. Una mossa che il governatore Draghi ha usato per tentare di consolidare il suo mandato ad operare, senza mediazione alcuna, in particolare con Lega e Forza Italia, con la benedizione dello stesso Presidente Mattarella. Ma Draghi&Mattarella non hanno considerato i giochi di palazzo, gli interessi particolari dei partiti [con l’attuale sistema elettorale la coalizione di centro destra è data sicura vincente], restando col cerino in mano fino alle urne politiche fissate per il prossimo 25 settembre. La retorica pubblica dei partiti del “per il bene del Paese” ha lasciato il posto a quella della “legittimazione del mandato popolare”: ambedue nascondono gli interessi di bottega e di spartizione del potere tra boiardi istituzionali.
Dentro a questa pesante e incombente crisi da tregenda, aggravata da una guerra d’invasione i cui esiti sfuggono ai comuni – noi – mortali, che si sentono impotenti, annichiliti, impossibilitati a spostare di un quid le decisioni prese nelle alte sfere dei Poteri. Quasi fossimo davanti al reale manifestarsi dei 4 Cavalieri dell’Apocalisse: peste, guerra, fame e morte che schiudono le porte alla fine del mondo.
Ebbene, non ostate ciò, con un grande lavorio, con tenacia, con fatica e con le difficoltà che si possono immaginare, il conflitto, le lotte, prima in forma carsica, poi con grande evidenza, in alcuni settori sono ripartite. Il comparto della logistica, là dove i lavoratori migranti sono la componente più rilevante, è stato attraversato da un florilegio di lotte e conflittualità.
Qui, a poco sono serviti gli inviti del Governo alla moderazione, le promesse su futuribili tagli fiscali, i ‘bonus’ centellinati con parsimonia ai lavoratori mentre ha largheggiato in finanziamenti a pioggia ai capitani di ventura dei comparti produttivi, della distribuzione, dei servizi.
Qui “l’anomalia selvaggia”, soggettivata da una composizione di classe meticcia, ha messo i piedi nel piatto, rivendicando reddito, comunque fosse rappresentato (passaggi di livello, premi di produzione, ticket pasto e benzina, bonus di esodo anticipato, etc). Non solo quel reddito eroso dall’inflazione prodotta dalla guerra in Europa e dalle collaterali speculazioni finanziarie delle grandi holding dell’energia e degli alimenti, ma anche, consapevole del proprio ruolo cardine nella fluidificazione del processo produttivo contemporaneo, per migliorare la propria condizione sociale di lavoratore usurato (facoltà di scegliere un’uscita anticipata dal settore). Un cambio di passo nelle rivendicazioni, nelle lotte, nella determinazione dei lavoratori della logistica dei maggiori vettori (BRT; GLS; SDA) del trasporto e della grande distribuzione alimentare che parlano a tutt* anche di sicurezza, salute, dignità, rappresentanza reale, e indicano un percorso generalizzabile di lotta e conflittualità, concreto e praticabile, aldilà e al di fuori della melina sindacale, politica ed istituzionale data.
Questa permanente conflittualità, esterna ed estranea alle confederazioni sindacali istituzionali, per di più potenzialmente estendibile e generalizzabile, è sentita come una costante minaccia alle compatibilità desiderate dalla ‘governance’ ed è certamente una delle ragioni sottostanti all’ondata repressiva – non è la prima – che ha il suo punto di applicazione nel nevralgico nodo logistico di Piacenza, con un meccanismo giudiziario non dissimile da quello usato contro la comunità della Valsusa e di Askatasuna.
Di questa intensa stagione di conflittualità, ben aldilà del susseguirsi delle formali indizioni di ‘sciopero generale’ che mai si è concretizzato come tale, neanche simbolicamente, l’ADL ne è stata interprete e protagonista, spesso in sintonia con il Sicobas, ma anche da protagonista assoluto come alla Kamila, il centro logistico emiliano della filiera COOP, come alla MHW centro distributivo piemontese per MAXI DI o alla SogeGross di Rivalta, come alla BCUBE di Monselice, come alla metalmeccanica SEST S.p.a. di Limana (BL), dove è il primo sindacato. Così come, recentemente, sperimentando e praticando forme di sciopero articolato nel magazzino TIGOTA’ di Padova e nella filiera TNT del Veneto, uno sciopero quello articolato che ha come premessa la determinazione, la coesione, l’unità dei lavoratori, che si traduce nella possibilità di incidere nella distribuzione delle merci senza perdere l’intera paga giornaliera o di turno. Una stagione di lotta, nella crisi pandemica e climatica, in cui ADL ha affiancato, nel suo operare, alle rivendicazioni economiche e contrattuali, quelle altrettanto significative relative al cambiamento climatico e alla devastazione ambientale, quelle contro le guerre e per la solidarietà con chi si oppone alle sue logiche di sfruttamento, quelle contro il machismo e la società patriarcale (una grande e positiva sorpresa è venuta dall’assemblea al femminile con la presenza di NUDM alla GEOX di Treviso). Far convivere queste tematiche sociali con quelle rivendicative non è semplice, non è una passeggiata, ma sapendole dosare, usando i toni consoni alle realtà multietniche con cui operiamo, diventano importanti strumenti di soggettivazione, così come abbiamo potuto vedere da vicino nell’esperienza sviluppatasi, dopo l’8 marzo, con le lavoratrici delle pulizie dell’IKEA e dell’Agenzia delle Entrate di Padova.
Questi risultati ci spingono a provarci ancora e meglio, a sperimentare percorsi inusuali, lontani anni luce da chi fa del sindacato un mestiere o della politica una bandiera identitaria.
Per questo, e molto altro ancora di cui abbiamo più volte scritto e ribadito direttamente, riteniamo che sia opportuno per tutti i soggetti sindacali conflittuali – noi compresi – un cambio di passo che sostituisca il lavorio di ciascuno nel proprio ambito per non perdere deleghe e/o ottenere una passiva adesione identitaria, con una pratica aperta alle relazioni di base per costruire convergenze trasversali capaci di creare conflitto, rivendicazioni, reddito, qualità nel vivere individuale e collettivo.
Un cambio di passo che sostituisca la data certa del prossimo sciopero generale con un percorso diffuso, attento alle specificità sociali, settoriali e territoriali, ma arricchito da tematiche maggioritarie e generalizzabili, di lotte per modificare il nostro modello di produzione e di vita che ha saputo solo devastare l’ecosistema della Terra. Un segnale in questo senso sarebbe un’adesione, coi tempi e modi propri, del mondo dei lavori alla giornata di mobilitazione e lotta del 23 settembre, indetta da Fridays for Future per l’Italia.
Un cambio di passo che sostituisca alla liturgia di una ‘grande manifestazione’ contro la Finanziaria, l’apertura nei territori, a livello nazionale ed europeo di una vertenzialità ricompositiva volta a lottare per la giustizia sociale e climatica e contro tutte le guerre prodotte dalle mire imperiali o imperialiste.