Il referendum costituzionale ci ha consegnato un risultato importante, che ridà fiato a tutte le opposizioni sia istituzionali che sociali; il No ha vinto con uno scarto di quasi 10 punti percentuali, un esito, come molti hanno già detto, scritto e analizzato per distribuzione sociale e geografica, al di sopra delle più rosee aspettative, dei protagonisti del no, naturalmente.
La felice sorpresa del nostro campo, già di per se, la dice lunga: abbiamo fatto il possibile, schiacciati da una potenza di fuoco massmediatico straordinariamente forte e prolungata nel tempo, negli ultimi 4 mesi abbiamo subito un bombardamento diurno e notturno, capace di ottundere chiunque e di indurre al voto i molti che, senza una campagna di tali fattezze e proporzioni, se ne sarebbero fottuti di votare.
Invece No. Siamo stati smentiti, felici di esserlo, dalle condizioni sociali, che viviamo, che ci descrive il Censis, l’Istat, la Caritas, che denunciamo e contro le quali lottiamo, ma che stentiamo a far emergere, a far diventare maggioranza sociale, sindacale e politica nel paese, rimanendo oscurate, sfilacciate, represse anche quando sono vincenti. Condizioni sociali e rancore politico hanno surclassato il vuoto del battage pubblicitario.
Insomma, politicamente, ci speravamo, ma contavamo su una vittoria di misura, anzi a rischio. I comitati per il no hanno fatto un lavoro costante e diffuso nei territori ma assolutamente artigianale a fronte dell’astuta campagna degli spin doctor governativi, il No sociale ha prodotto, aldilà della manifestazione del 27, esperienze locali ed episodiche che non hanno fatto intravvedere una nuova potenza costituente; sui partiti e partitini del No meglio non dilungarci, mentre un encomio – a nostro avviso – va ai soggetti qualificati della società civile che si sono spesi a profusione per smantellare le motivazioni del Si. Ma in fondo le ragioni del Si e del No poco hanno pesato sul risultato finale, come si è detto – ed altri hanno documentato – molto di più hanno pesato il rifiuto delle politiche liberiste, della narrazione della fine di una crisi che ci impoverisce giorno dopo giorno, di un Renzi uber alles. Molto hanno, sicuramente, pesato sulla bilancia del No il livore xenofobo e la paura dell’invasione di profughi e stranieri succhia risorse. E quando l’impoverimento si intreccia con il razzismo c’è poco da star allegri, la storia ce lo ha insegnato anche recentemente ce lo hanno vicende europee.
Resta il dato politico – molto ma molto contradditorio – che milioni di persone, nascoste dal gazebo, hanno depositato nell’urna un adesso basta! Da questo ricavare l’entusiasmo – ripetiamo – per una svolta radicale ci sembra proprio fuori luogo.
Certo si aprono degli spazi per rilanciare una mobilitazione sociale che metta sul piatto il tema del reddito, dei diritti negati ai cittadini, di una vivibilità ecocompatibile; uno spazio tutto da riempire con iniziative che sappiano cogliere i bisogni, gli umori, i desiderata di una sotterranea e frastagliata propensione al cambiamento dello stato presente delle cose, senza il timore degli orchi di Bruxelles, di una disponibilità, spesso misconosciuta, alla lotta per obiettivi chiari e concreti.
Certo è che la decostituzionalizzazione della vita sociale è un fatto compiuto nel momento in cui gli stessi contratti di lavoro, siglati o da siglare con il gran plauso dei sindacatoni, contengono la monetizzazione della sanità pubblica, dell’assistenza sociale, l’allungamento dell’orario di lavoro: questi sono aspetti della costituzione materiale con cui dobbiamo fare i conti, molto più dirimenti del numero dei senatori o di quant’altro. In fondo – diciamolo – i nostri No hanno, per ora, stoppato il posizionamento della ciliegina su una costituzione formale e materiale – pensate solo al fiscal compact – massacrata da anni e anni di politiche neoliberiste.
Certo il vecchio e nuovo ceto politico, partitico ed istituzionale, riprenderà fiato: già suonano il piffero i sinistri sinistrati di tutte le risme, i sindaci anomali, i tromboni trombati e tutti quelli che la sanno lunga e che ‘io l’avevo detto’. Tutti già dimentichi di Renzi e di un blocco sociale che va ben oltre al 40% espresso con il Si.
Ma a noi cosa cambia? Non molto, certo una sponda qui o un appoggio lì è sempre utile e importante, ma rimaniamo fermamente convinti che il conflitto sociale – le lotte, non il conflitto/guerra che le soffoca o le stravolge -, con il corollario culturale che lo accompagna ed esprime, rimanga il grimaldello del vero cambiamento, il resto è solo fumo negli occhi o specchietti per le allodole.