Proviamo ad esprimere il nostro punto di vista in merito alla convocazione già inoltrata di uno sciopero generale per il 21 ottobre, uscita da una riunione nazionale che si è tenuta a Roma giovedì 14 luglio e che ha visto la partecipazione di varie realtà sindacali e di alcune forze politiche. Diciamo subito che una siffatta composizione ci risulta del tutto estranea alla concezione che abbiamo sempre avuto delle modalità con le quali si avviano conflitti di varia natura. Non nascondiamo il fatto che, se fossimo stati presenti, avremmo assistito con un certo imbarazzo alla riunione. Ma al di là di ciò vogliamo esprimere alcune valutazioni nel merito delle questioni in quanto riteniamo che in relazione alla gravità della situazione che stiamo attraversando, debbano essere di tutt’altro impianto i percorsi dei conflitti riguardanti il binomio lotta per la giustizia sociale e climatica.
Già in altre occasioni ci siamo espressi sull’indizione di scioperi generali proposti con largo anticipo per una qualche data in autunno. Abbiamo già detto altre volte che sembra come di ripetere scadenze di tipo liturgico che, quando vanno bene diventano un evento mediatico e, quando vanno male sono al più un modo di autorappresentarsi, senza alcuna possibilità di incidere realmente su questioni fondamentali nella vita delle persone.
Ma vogliamo provare a rovesciare le questioni e cercare di partire dalle problematiche vere per capire cosa è possibile e credibile mettere in campo per spostare anche di poco, ma realmente, i rapporti di forza e far crescere percorsi di autorganizzazione di lavoratrici e lavoratori nel rapporto con i rispettivi territori e con altri movimenti di lotta.
- GUERRA E CRISI CLIMATICA. Questa guerra, così come molte altre guerre sparse in giro per il mondo, è destinata a durare nel tempo e probabilmente a spostare gli equilibri politici globali ridefinendo un nuovo assetto dei rapporti di forza tra superpotenze. Su questo aspetto pensiamo che ci sono due cose principalmente che vanno fatte: la prima è che bisogna combattere con ogni mezzo necessario la corsa al riarmo, l’aumento delle spese militari, mettere in discussione la centralità del complesso militare industriale nel processo di accumulazione capitalistica. In questo senso, manifestazioni come quella di Coltano sono sicuramente il modo giusto di agire, cercando di costruire movimentazioni di massa attorno a questo nodo fondamentale. Ma contemporaneamente pensiamo che praticare oggi l’internazionalismo, significhi prima di tutto avere rapporti diretti con chi vive nei territori interessati dai conflitti e cercare di capire come contribuire a rafforzare quelle reti sindacali e solidali che sono lì e che cercano faticosamente di dare un senso ad una battaglia anticapitalista, antiliberista e contro i nazionalismi. Così come da tanti anni abbiamo fatto andando nei territori martoriati della ex Jugoslavia, in Chiapas, in America Latina, in Palestina o in Rojava nella consapevolezza che andiamo là sul campo per capire e per aiutare quelle realtà con le quali può esserci una sintonia di vedute. E in questa direzione risulta inevitabile, viste le conseguenze che sta producendo la guerra sulla crisi climatica, con il rilancio del fossile o del nucleare che queste due tematiche trovino il modo di intrecciarsi. Sulla crisi climatica è chiaro che stiamo assistendo ad una precipitazione della situazione che necessita di accelerare le dinamiche conflittuali in grado di agire, quanto meno, per ridurre le conseguenze catastrofiche di questo modo di produzione, ma, che allo stesso tempo, riescano a tradurre nei territori pratiche di lotta che indichino obiettivi precisi. In questo senso abbiamo costruito questa iniziativa a Nogara assieme ai Centri Sociali del Nord Est e a Rise Up per costruire un movimento di lotta ampio che metta in discussione l’assurdità di una situazione che vede la Coca Cola continuare a estrarre senza alcun problema 170 m. cubi di acqua all’’ora per 365 giorni all’anno quando manca l’acqua per una infinità di usi civili e pagandola nemmeno 1 centesimo a mq. contro 1, 37 € a m.cubo che paghiamo tutti noi. E così, pensiamo che vadano ricercate tutte le convergenze del caso all’interno dei territori per dare vita e forma a movimenti in grado di coniugare realmente “giustizia sociale e giustizia climatica”.
- CAROVITA, SALARIO MINIMO, RAPPRESENTANZA. E’ chiaro che sono temi che si intrecciano. Ma anche su questi grandi temi dobbiamo pensare a come riuscire a costruire dinamiche concrete di lotta in grado di produrre, anche se piccoli, comunque dei risultati che siano in grado di trasmettere il messaggio che non dobbiamo aspettare che cambino le leggi, (vediamo solo la farsa del salario minimo, che, se qualcosa succederà sul piano legislativo, si tratterà di correttivi che non modificheranno la sostanza del problema, né sul piano nazionale, né su quello europeo) ma dobbiamo provare a porci il problema sul come tradurre in percorsi di lotta credibili obiettivi raggiungibili o che, comunque possano servire a rafforzare i percorsi di organizzazione di lavoratrici e lavoratori. In altre parole, sul tema del carovita, dobbiamo capire, a prescindere dalla sigla sindacale, dove è possibile – nel senso che è necessario mettere in campo rapporti di forza che permettano il raggiungimento del risultato – costruire vertenze in grado di fornire risposte all’erosione del salario. Sicuramente, nella logistica è possibile mettere in campo tutte le risorse dal punto di vista sindacale in grado di rivendicare, in forme anche diversificate, aumenti salariali. Ma potrebbero esserci anche altri settori dove possiamo pensare che sia possibile avviare conflitti che si muovano in questa direzione. Allora con questa modalità di agire, al di là dell’appartenenza sindacale, possiamo intravvedere percorsi ricompositivi che nascono dal basso. Chiaro che il modo migliore di mettere in discussione le normative esistenti sulla rappresentanza è quello di allargare questo diritto a partire dalle lotte, senza rinunciare ovviamente a porre il problema su un piano giuridico e politico/parlamentare. E abbiamo visto che è possibile, che si può fare, con infinite difficoltà, ma nella consapevolezza che anche la legge sulla rappresentanza potrà cambiare solo se ci sarà all’interno dei posti di lavoro una messa in discussione forte della normativa sulla rappresentanza.
Sul salario minimo, sappiamo bene quali sono i settori che vedono salari ben al di sotto dei 9 € lordi. Su questo tema, pensiamo sia necessario costruire una o più giornate di mobilitazione nazionale che possono anche tradursi in scioperi laddove ci sono le condizioni, ma possono anche essere momenti di mobilitazione (pensiamo solo a chi fa le pulizie negli ospedali che sono soggetti comunque alla 146) che possono mettere insieme chi lavora sulle pulizie, con chi è inquadrato nel contratto dei “Servizi Fiduciari” o nelle “Cooperative Sociali” ecc. , ma cercando anche di dare un connotato europeo, attraverso le varie reti sindacali esistenti, perché il problema riguarda in grande misura quei paesi dove il salario è a 3 o 4 € l’ora. Inoltre, creare mobilitazione nei settori a maggior incidenza di forza lavoro femminile, significa anche affrontare la questione di genere da un punto di vista del conflitto di classe.
In definitiva siamo convinti che sia necessaria una netta inversione di tendenza rispetto a come sono stati concepiti i rapporti tra le varie sigle del sindacalismo di base e pensiamo anche che uno sciopero generale calato oggi per l’autunno rientri in quella modalità di concepire il conflitto che ci convince sempre meno, mentre siamo disponibili a intrecciare tutti quei percorsi reali di lotta nei territori, a livello nazionale ed Europeo sulla necessità di trovare articolazioni concrete dello slogan “lottare per la giustizia sociale e climatica e contro tutte le guerre che nascono da mire imperiali o imperialiste.