Subito canali umanitari di accoglienza e aiuti alle ong impegnate in Afghanistan
In questi giorni è sotto gli occhi di tutt* l’esito dell’operazione Enduring freedom (Libertà duratura), l’invasione nel 2001 dell’Afghanistan voluta dagli Stati Uniti in risposta all’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle e sostenuta con contributi economici, politici e militari dagli alleati NATO: migliaia di persone impaurite e disperate nell’areoporto di Kabul che implorano un posto negli aerei impegnati a reimpatriare il personale diplomatico, politico e militare occidentale dopo l’arrivo nella capitale dell’esercito talebano. L’atto straziante di alcune madri afgane che passano i propri figli a militari inglesi e statunitensi perchè imbarcarchino almeno loro negli aerei è la fotografia più cruda del fallimento della retorica sull’esportazione della democrazia occidentale che da decenni ammanta falsamente come operazioni di pace umanitarie le guerre USA e NATO in Afganistan come in Iraq, in Bosnia come in Kosovo e in Somalia ma l’elenco potrebbe continuare ancora.
Ipocritamente la cosiddetta comunità internazionale proclama oggi la difesa dei diritti delle donne afgane, garanzie per il mantenimento della scolarizzazione per* i* bambin* e l’avvio di un processo di ricostruzione pacifica, politica e amministrativa, dello Stato afgano dopo che per decenni ha dialogato con i signori della guerra legittimandoli al governo di un’entità statale fantoccio e li ha riforniti di finanziamenti della cui destinazione non si è mai seriamente preoccupata e dopo aver rilegittimato i talebani quali interlocutori principali per il dopo occupazione. Quale credibilità può avere una “comunità” internazionale che ha sempre taciuto sui bombardamenti indiscriminati di villaggi, scuole e ospedali; sulla violenza dell’occupazione militare nei confronti della popolazione civile o che, al massimo, quando costretta dall’evidenzia di fatti luttuosi nei confronti di civili inermi ha avvalorato la tesi giustificatoria degli effetti collaterali alle azioni di guerra ritenute sempre giuste e per esportare la democrazia? Come scrive giustamente Vincenzo Vita in Il Manifesto del 19/08/20211, non ha molta credibilità da sbandierare in questi giorni una “comunità” internazionale che ha contribuito, chi fattivamente, chi tacendo e girando lo sguardo dall’altra parte, a descrivere come un colpevole traditore che merita il carcere a vita negli Stati Uniti Julien Assange e i membri di WikiLeaks perchè quelle violenze contro i civili le hanno denunciate e fatto conoscere all’opinione pubblica occidentale.
Perchè meravigliarci, quindi, di quanto sta accadendo? In fondo la crescita, lo sviluppo e il radicamento dei talebani è opera dello stesso occidente sino dai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan; furono gli USA e i suoi alleati del Golfo Persico e del Pakistan a finanziare e armare tutti i protagonisti della jihad – dai mujaheddin ai talebani, passando per Al Quaida e lo stesso Bin Laden – definendoli “combattenti della libertà”; USA e Paesi della NATO hanno sempre ammiccato con Pakistan, Arabia Saudita e Emirati arabi in quanto clienti preziosi dell’industria militare e non solo. Molti degli Stati occidentali, fra questi anche l’Italia, che oggi lanciano appelli ipocriti a favore dei diritti delle donne afghane, dei diritti umani in Stati finanziatori dei talebani come le dinastie arabe del Golfo Persico o il Pakistan non è mai importato nulla: in fondo si tratta di Governi amici, di monarchie che alimentano le catene del valore capitalistico e i circuiti finanziari internazionali, Governi che investono e tanto in occidente.
Il Presidente USA Biden ha deciso il ritiro delle truppe statunitensi mettendo in pratica propositi già dichiarati e avviati dai Presidenti precedenti, Obama prima e Trump poi, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze perchè, in fondo, le guerre americane rispondono sempre più ad una sorta di strategia del caos volta alla destabilizzazione delle aree colpite, alla distruzione dei rapporti politici, economici e sociali preesistenti, lasciando problemi insoluti o aggravati per chi vi rimane. Gioca un ruolo nella debacle USA in Afghanistan anche il peso esercitato dalla raggiunta insostenibilità economica dell’occupazione che ne ha sollecitare il disimpegno militare pur di fronte al rischio che a giovarsene nel lungo periodo possano essere avversari politici come Russia, Cina e Iran a cui, indirettamente, oggi viene lasciata la patata bollente di uno Stato governato dai talebani ma, come quasi sempre è avvenuto in passato, sotto sotto, negli USA sono i nodi interni, l’economia, la produzione, il primato della ricerca tecnologica e della brevettazione e la tenuta del consenso sociale, a farla da padroni nelle politiche dei Presidenti che si alternano alla Casa Bianca e dei partiti che li sostengono; il mantenimento dell’egemonia globale della più grande potenza mondiale sul resto del pianeta è lasciata in buona parte all’apparato industriale militare che lo preserva attraverso il dispiegamento della sua spaventosa potenza di fuoco. Chiedere agli USA di mettere una pezza al guaio provocato come fa la diplomazia europea, preoccupata soprattutto di incontrollate “invasioni” di profughi afghani, è ridicolo: più opportuna sarebbe una profonda autocritica della condivisione europea di queste guerre e un cambio di marcia radicale della politica estera europea che guardi nel contesto afgano a rafforzare il ruolo delle ong sostenendo i progetti umanitari in corso e da sviluppare e aprendo canali diplomatici che garantiscano spazi di agibilità per la sua società civile che, nonostante i decenni di guerra subita, esiste e seppure con difficoltà si sta esprimendo proprio in questi giorni nelle dimostrazioni pubbliche e negli appelli di alcun* suo* rappresentant*.
C’è però anche bisogno di azioni immediate. Il nostro Governo dovrebbe concretamente impegnarsi subito alla creazione di canali umanitari per chi vuole andarsene dall’Afghanistan, per chi chiede il ricongiungimento con i parenti già residenti nel nostro Paese; c’è bisogno di approntare una rete di accoglienza facilitando l’accesso in Italia, sostenendo le associazioni impegnate in questo settore e rendendo concrete le disponibilità all’accoglienza annunciate da molte amministrazioni comunali e sostenute dalla stessa ANCI. Sapendo che tutti ciò non può rappresentare la soluzione della crisi afgana, nè garantire il rispetto dei diritti in quel Paese, specialmente per le donne: c’è bisogno di ben altro e soprattutto del supporto politico e non militare alla crescita di una società civile che ne rivendichi l’affermazione non secondo i codici imposti dall’occidente ma secondo i loro, frutto della realtà e della storia di quel Paese.
Tutte le azioni immediate sopra dette, va ribadito, sono opportune e necessarie e devono diventare utili anche per riaffrontare sotto un nuovo punto di vista improntato all’accoglienza l’intera questione migratoria nel nostro Paese, spazzando via la narrazione falsa, xenofobo e razzista alimentata in questi anni dalla Lega e dalla destra istituzionale e non. Allo stesso tempo, la crisi afgana può favorire lo sviluppo di una riflessione radicalmente critica verso le politiche di guerra perseguite dagli USA e dalla NATO. Se queste questioni sull’onda della giusta indignazione che attraverso la nostra società saremo in grado di rimetterle al centro di una riflessione collettiva ampia spezzando la narrazione sovranista e razzista dominante e se, allo stesso tempo, saremo in grado di allargare il consenso, l’adesione e il sostegno alle azioni umanitarie e alle reti di accoglienza, potremo fornire un concreto aiuto a quella parte della popolazione civile afgana che sta ricercando nuove forme di convivenza civile pacifiche e il rispetto dei diritti umani dopo decenni di guerre e distruzioni e, nello stesso tempo, faremo un passo avanti nel rispetto dei diritti anche nel nostro Paese.
ADL-Cobas Padova
20 agosto 2021