Fischiano venti freddi che portano echi di guerra, che rimbalzano sulle pagine dei giornali, nazionali ed internazionali. Guerre guerreggiate nei territori del medio e vicino Oriente, nella sponda africana del Mediterraneo, in quella sahariana e altri focolai sono, tutt’ora, attivi nella regione del Donbass, nelle aree di confine delle repubbliche caucasiche. Tante, troppe, e solo per restare vicino a casa. Si riparla di guerra fredda e di fronteggiamento tra gli schieramenti della Nato e la Russia, di violazione di spazzi aerei, di esercitazioni difensive in grandi metropoli russe, di duri proclami di Putin sulle minacce dell’Occidente, di accuse ufficiali degli Stati Uniti di hackeraggi da parte di Mosca. Lo stesso Presidente Mattarella, allarmato, ha voluto rivolgere un appello ai Grandi della Terra a non cadere nella spirale di una nuova guerra fredda.
Un vero ginepraio in cui è difficile districarsi ma su cui è opportuno soffermarsi per poter alzare lo sguardo oltre i fatti di cronaca che ci è dato conoscere. Proviamoci.
Dopo una decina di anni di trattative nel maggio del 2014, nel pieno della crisi Ucraina, Russia e Cina, alla presenza di Putin e Xi Jinping, hanno siglato, per tramite di Gazprom e China National Petroleum, un accordo trentennale di cooperazione e sviluppo sulle fonti e forniture energetiche, a cui, nei mesi seguenti, sono seguiti un pacchetto di accordi bilaterali, incluso quello relativo alla sicurezza. In quella occasione, il primo ministro russo Dmitrij Medvedev ebbe a dichiarare che: “La nostra collaborazione con la Cina è d’importanza strategica. Abbiamo grandi e brillanti contatti politici, ed ottimi rapporti economici. La Cina è il nostro partner strategico, e siamo interessati ad espandere la cooperazione.”
Non è necessario essere un esperto di politica internazionale per cogliere il portato che questi accordi assumono, creando, di fatto, un blocco continentale, potenzialmente integrato, che va dal Pacifico alla periferia est europea, ridisegnando, così, la mappa della geopolitica globale. Da questo salto di qualità negli instabili equilibri dell’era post imperiale americana, le dinamiche, i rapporti, le tensioni internazionali assumono una accelerazione.
In quest’ottica si possono leggere, sia lo svolgimento della crisi Ucraina, sia le sanzioni economiche e commerciali europee. Aldilà dal velo ideologico e oscurantista della contrapposizione astratta, oppressione/libertà o fascisti/comunisti: la Nato vuole far sentire il suo fiato militare sul collo della Russia, che, a sua volta, usa tutto e tutti, prima e dopo, per mantenere o allargare il suo potere di interdizione.
Portano il segno di questa sotterranea tensione un ampio spettro di manifestazioni internazionali che intersecano la geopolitica e i rapporti di forza e di potere ad essa collegati.
A giugno, a Creta, si è tenuto il sinodo pan-ortodosso, volto a dirimere antichi nodi irrisolti tra le chiese ortodosse nazionali e, se superati, lanciare, con un appello condiviso, la missione nel mondo contemporaneo della chiesa ortodossa, che ha nel suo dna un legame fortissimo con il proprio Potere nazionale, e ora è in affanno, pressata com’è dall’attivismo del cattolico Papa Francesco. Un sinodo a lungo preparato, che è avvenuto a oltre 500 anni da quello precedente, che aveva dato il via alla diaspora nazionale delle chiese ortodosse. Un sinodo che nella stretta organizzativa finale ha visto la rinuncia delle chiese di Russia, Bulgaria, Serbia e Georgia, nonché del Patriarcato di Antiochia. Rinunce che attengono tutte a specifiche tensioni regionali e a problemi di allineamento internazionale, che vedono le scelte della Russia messe in discussione. Tanto che il Patriarca Kirill di Mosca – la chiesa ortodossa più numerosa – nel suo ultimo messaggio ufficiale, si rivolge intenzionalmente ai «Primati e ai rappresentanti delle Chiese locali ortodosse che sono convenuti a Creta» senza mai citare l’espressione «Concilio», derubricando la loro riunione a un «incontro che può fornire il suo contributo alla preparazione del Santo e Grande Concilio» e negando implicitamente all’assise di Creta il rango di Assemblea conciliare e ammonendo il Patriarca Bartolomeo «a dar prova di prudenza» e rimarcando che «se il Concilio è convocato malgrado l’assenza di almeno quattro Chiese locali, ciò costituirà una brutale trasgressione del regolamento dello stesso Concilio, che stabilisce che esso è convocato dal patriarca ecumenico con il consenso di tutte le Chiese». Il risultato è stato un concilio zoppo impossibilitato a esprimere una linea guida ed un messaggio universalistico, che poteva essere potenzialmente avverso alle scelte della Russia.
Nello stesso tempo si tiene, nell’est della Polonia, Anakonda16, un’esercitazione Nato di 10 giorni, con la partecipazione di 34.000 soldati: “Oggi in Polonia viviamo una situazione difficile, di profonda insicurezza, specialmente al confine con l’Ucraina”, spiega il ministro dell’interno polacco Antoni Macierewicz. “Dobbiamo testare le capacità di difesa dell’Alleanza Atlantica davanti a un potenziale pericolo”. Il pericolo è la Russia, le repubbliche baltiche e la Polonia chiedono da tempo di essere più protette, soprattutto dopo l’annessione della Crimea e la guerra in Ucraina, serve la prefigurazione di una nuova cortina di ferro.
Sempre in quei mesi la Commissione internazionale sul doping [WADA] mette in croce la federazione atletica russa, tanto da mettere in forse la partecipazione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro l’intera compagine sportiva russa. Una girandola di esclusioni, di prove e controprove, indagini, ricorsi, con la voce grossa di Putin sullo sfondo che grida al complotto. Si sa che le Olimpiadi, storicamente, interrompono la guerra, e così il CIO, il comitato olimpico internazionale, chiude tutti e due gli occhi ed esclude dai giochi solo la compagine russa di atletica leggera. La guerra fredda ‘sportiva’ si riattiva poco dopo con l’estromissione, sempre per doping, di 267 atleti russi dalle Parolimpiadi di Rio: il CIO si prende la sua rivincita e la Russia non viene dunque rappresentata. Ma non finisce qui, in capo ad un mese, vengono hackerati e diffusi i dati relativi alle analisi doping di una pletora di atleti statunitensi, da dove emerge il dato di fatto che tutti sono dopati e il CIO è costretto a riprendere in mano il medagliere olimpico. La fonte informativa è identificata in un non meglio precisato ‘collettivo hacker russo Fancy Bear’.
Il termometro della tensione sale di molto con le accuse degli USA alla Russia, prima velate ed indirette, poi esplicite ed ufficiali, di interferenza nello svolgimento della campagna elettorale statunitense. Una decina di giorni fa l’intelligence americana ha diramato un comunicato ufficiale in cui si accusa gli hacker di Mosca del furto di dati inerenti lo staff della Clinton, annunciando che il presidente Obama sta per dare le direttive per “una risposta adeguata alla grave violazione”. È di questi giorni l’esercitazione della protezione civile russa che simula un isolamento e un assedio delle città russe.
In questa latente guerra fredda pesano le mosse nei quadranti regionali di crisi, le guerre per procura, dove la Russia si mostra capace di tessere alleanze impensabili pochi mesi prima. È recente il riavvicinamento con l’Egitto, che appoggia in Cirenaica il generale Haftar – ex uomo CIA – in funzione anti occidentale nella ‘pacificazione’ della Libia.
Lo si vede in Turchia, dove dopo la rottura delle relazioni economiche, seguita all’abbattimento di un aereo russo, ora si da un florilegio di accordi di cooperazione in tutti i settori, non ultimo quello militare – ma la Turchia fa parte integrante della Nato – in relazione alle guerre in Siria. Lo si è visto con la stretta relazione con l’Iran sciita nel intervento a sostegno del regime di Assad, impegnato nella riconquista delle città e dei territori siriani in mano ai jihadisti di varia osservanza. Lo si capisce dalla strafottenza con la quale vengono disattese le richieste di tregua per Aleppo.
Non per nulla, nella visita a Mosca di ieri, Bashar al-Assad ribadisce che gli alleati permanenti di Damasco sono la Russia, l’Iran e Hezbollah e dichiara: “Quello a cui abbiamo assistito nel corso delle ultime settimane, e forse qualche mese, è qualcosa di più di una guerra fredda. Non so come chiamarla, ma non è qualcosa che esiste da poco, perché non credo che l’Occidente e in particolare gli Stati Uniti abbiano interrotto la loro guerra fredda, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica”….” E’ in corso una guerra mondiale, ma non si tratta di uno scontro militare diretto, malgrado vi siano ingredienti di natura militare, di terrorismo e di carattere politico. La Siria è però solo una parte di questa guerra”.
E mentre Oliver Stone ci racconta il tragitto di Snowden da Washington a Mosca, l’Italia invia truppe in Lettonia per vigilare i confini con la Russia.
Non si tratta, dunque, di tifare per questa o quella potenza, per il democratico nero Obama o per lo spione bianco Putin; comunque le si osservi, sono sempre le loro ‘forme di guerra’ per la supremazia e il dominio di rapina, da smascherare, da denunciare, da contrastare con tutti i mezzi di cui siamo capaci.