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ADL Cobas > Blog > Approfondimenti > Dal Friday for Future a un sindacalismo per una giustizia climatica globale?
Approfondimenti

Dal Friday for Future a un sindacalismo per una giustizia climatica globale?

ADL-Cobas Emilia Romagna
di ADL-Cobas Emilia Romagna Pubblicato 1 Ottobre 2019 14 minuti di lettura 1k Visualizzazioni
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14 minuti di lettura
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Di Mark Bergfeld. Traduzione in italiano a cura del portale dinamopress.it, testo originale: socialeurope.eu


Le continue mobilitazioni del movimento Fridays For Future guidato dai giovanissimi hanno ispirato il grande pubblico, ma resta ancora da capire se i giovani scioperanti per il clima siano stati in grado di spingere i sindacati a muoversi per la Settimana di azione globale per il clima partita il 20 settembre. Oltre a questa settimana, però, potrebbero i sindacati sviluppare un ‘sindacalismo per una giustizia climatica’ per rispondere alle crisi multiple causate dalla disuguaglianza, dal cambiamento climatico e dal declino sindacale?

La nozione odierna di giustizia climatica ha le sue radici nel movimento per i diritti civili degli Stati Uniti e nella domanda per una ‘giustizia ambientale’ che veniva dagli afroamericani, poiché questi sono i più fortemente colpiti dai rischi ambientali –tema ancora centrale, come dimostra la contaminazione dell’acqua a Flint in Michigan. A differenza del tradizionale ambientalismo americano, che poneva al centro delle sue rivendicazioni la natura selvaggia e la sua conservazione, il movimento per la giustizia ambientale è nato nel calore dello sciopero degli operatori ecologici di Memphis per migliorare le proprie condizioni di lavoro e retribuzione, che ha portato Martin Luther King Jr a indagare su un incidente ambientale nel febbraio 1968.

IL VERTICE DI COPENAGHEN
L’odierno movimento per la giustizia climatica è emerso dalle reti altermondialiste durante il vertice sul clima delle Nazioni Unite COP-15 a Copenaghen nel 2009. Dato che l’ambientalismo tradizionale stava sostenendo meccanismi basati sul mercato, come lo scambio di quote di emissioni, la geo-ingegneria e la cooperazione con le multinazionali, per risolvere la crisi climatica, il movimento per la giustizia climatica ha posto al centro della sua agenda politica i paesi del sud globale e i gruppi più svantaggiati del nord.

Nonostante tutte le buone intenzioni del movimento e un primo coinvolgimento dei sindacati, gli attivisti per la giustizia climatica non sono riusciti a offrire una prospettiva ai lavoratori del nord globale, per due ragioni. Troppo spesso pensavano a questi lavoratori come dei ‘venduti’ oppure gli proponevano dei modelli economici basati sulla decrescita in un momento di licenziamenti di massa causati dal tracollo finanziario del 2008. Nel frattempo, il continuo declino delle iscrizioni al sindacato, insieme alla recessione economica, ha favorito una posizione sindacale difensiva allineata con la politica dei propri governi su migrazione e cambiamenti climatici, sperando di far avanzare la propria agenda sul mercato del lavoro nazionale.

Durante la COP-15 e sulla sua lunga scia, i sindacati più lungimiranti e gli attivisti ambientali si sono resi conto che le crisi economiche ed ecologiche erano inseparabili – in effetti, queste crisi gemelle hanno offerto un’opportunità senza precedenti per re-immaginare la partecipazione dei lavoratori, il sindacalismo e l’economia.

La campagna sindacale britannica One Million Climate Jobs, ad esempio, ha sostenuto che si potrebbero creare posti di lavoro per isolare case ed edifici riducendo contemporaneamente le emissioni di CO2. Gli attivisti canadesi hanno pensato a come offrire ai lavoratori petroliferi della provincia di Alberta una prospettiva oltre le sabbie bituminose.

UNA TRANSIZIONE ECOLOGICA GIUSTA
Da allora, molti sindacati in tutto il mondo hanno iniziato a impegnarsi in progetti per costruire un’economia alternativa e per condurre una ‘transizione ecologica giusta’ verso di essa. Come hanno sottolineato Sean Sweeney e John Treat, convenzionalmente questo concetto si applicava all’impatto sui lavoratori delle politiche ambientali. Oggi, tuttavia, una transizione ecologica giusta significa una trasformazione socioeconomica molto più profonda.

In paesi come gli Stati Uniti, dove i sindacati sono meno integrati nello stato, questi, insieme a gruppi ambientalisti e movimenti sociali, hanno sviluppato un approccio alla transizione ecologica giusta basato sull’idea del ‘potere sociale’. Basandosi sui risultati e le intuizioni del movimento per la giustizia ambientale, i sindacati e gli attivisti si stanno unendo per avanzare alternative concrete a un’economia basata sui combustibili fossili, mentre spingono il governo e le agenzie locali a fare di più. Tra gli esempi ci sono la campagna della coalizione ALIGN per rinnovare il sistema di trasporto pubblico di New York e il programma del Cornell Worker Institute“Cancellare le diseguaglianze, combattere il cambiamento climatico: un programma di lavori sul clima per lo Stato di New York”, con le sue raccomandazioni per i settori dell’energia, dei trasporti e dell’edilizia.

Questo tipo di politica e la costruzione di coalizioni ampie hanno ispirato i membri democratici del Congresso come Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders a proporre un Green New Deal, che vuole ridare potere ai lavoratori e reinventare il capitalismo americano. Nel frattempo, la più grande organizzazione ambientale del Paese, il Sierra Club, ha assunto un coordinatore per le questioni del lavoro e del carbone per colmare il divario tra i movimenti ambientali e quelli dei lavoratori.

Nell’Europa occidentale e settentrionale, dove i sindacati hanno legami più forti con i governi e gestiscono un maggiore potere istituzionale, prevale l’approccio del ‘dialogo sociale’. Ciò comporta una pianificazione economica e una ristrutturazione industriale su linee bipartite o tripartite, con un’attenzione minore alla riduzione della disuguaglianza. Questo continua a legare i sindacati agli attuali modelli di sviluppo economico e commerciale basati principalmente sulla crescita del valore per gli azionisti. Pertanto, non sorprende che anche la comunità degli investitori abbia sposato l’idea di una transizione ecologica giusta.

Dal vertice della Terra di Rio del 1992, le multinazionali hanno sempre fatto pressioni affinché gli obiettivi per la riduzione delle emissioni fossero non vincolanti, sostenendo che l’autoregolamentazione è più efficace. Ciò gli ha permesso di stabilire la propria andatura nel cammino per ridurre le emissioni di carbone. Mentre la pressione sociale ha costretto i grandi azionisti istituzionali a porre maggiormente l’accento sulle questioni ambientali e di governance sociale, le maggiori banche mondiali hanno continuato a riversare denaro nel settore dei combustibili fossili, per un importo di 1,9 trilioni di dollari dalla firma dell’accordo di Parigi sul clima. In questo contesto, un approccio al dialogo sociale senza la pressione dal basso dei lavoratori sembra inutile.

FRIDAYS FOR FUTURE
La chiamata di Fridays for Future per uno”sciopero per la terra “può essere un ottimo grimaldello per favorire la convergenza di sindacati, gruppi di lavoratori e attivisti climatici. Molti sindacati hanno rilasciato dichiarazioni a sostegno dello sciopero, chiamando i propri membri a partecipare alle azioni durante la settimana globale per il clima.

Il congresso dei sindacati britannici ha chiesto ai propri membri di interrompere il lavoro per 30 minuti. In Austria, attivisti sindacali e climatici terranno una tavola rotonda su cosa si può fare sul posto di lavoro per arginare i cambiamenti climatici. In Belgio, un comitato di lavoratori di una compagnia assicurativa chiede al proprio datore di lavoro di ridurre le emissioni della metà entro il 2030. In Germania, dove le divisioni tra movimenti ambientali e sindacati sono particolarmente rigide, diversi sindacati hanno comunque chiesto ai propri iscritti di aderire al Fridays for Future.

Per molti ambientalisti le dichiarazioni simboliche dei sindacati e gli inviti all’azione sono troppo poco e troppo tardi. Uno dei motivi per cui i giovani scioperanti per il clima e i sindacati non hanno trovato una maggiore convergenza è perché i due gruppi parlano due lingue diverse: per i sindacalisti, uno sciopero è il l’astensione dal lavoro per portare a casa una vittoria su delle richieste specifiche, mentre per il movimento Fridays for Future, lo sciopero politico sembra essere l’obiettivo stesso. Tuttavia, mentre alcuni potrebbero considerarlo ingenuo, simili scioperi sono diventati una tattica comunemente usata anche all’interno del movimento femminista globale. In ogni caso, lo sciopero del clima non sarà sufficiente da solo per evitare ciò che Naomi Klein ha definito la “barbarie climatica”.

UN SINDACALISMO PER LA GIUSTIZIA CLIMATICA
Esistono solo pochi esempi di sindacati che riuniscono le problematiche ambientali e lavorative nella propria organizzazione. Tuttavia, cambiare il nostro modello economico ormai guasto dipende da un sindacalismo per la giustizia climatica che sfidi il cambiamento climatico in corso, la crescente disuguaglianza e le basse iscrizioni al sindacato. Ciò svilupperebbe azioni che i lavoratori potrebbero intraprendere nel proprio posto di lavoro o in trattative collettive a livello settoriale.

Un sindacalismo per la giustizia climatica non è una novità. Nacque nella zona est di Londra nel 1888, quando delle giovani lavoratrici iniziarono unalotta sindacale contro le condizioni di lavoro pericolose, compresa l’esposizione al fosforo bianco che sfigurò i loro volti. Lo sciopero delle matchsticks girls (le donne dei fiammiferi) ha avviato un nuovo tipo di sindacalismo in Gran Bretagna, dando fiducia a diversi gruppi di lavoratori – oltre agli uomini qualificati – di supportare la campagna per la riduzione dell’orario di lavoro, una politica che rimane ancora oggi fondamentale per ridurre le emissioni di CO2.

I membri della forza lavoro a basso salario di oggi, tra cui gli operatori sanitari, gli addetti alle pulizie e le guardie di sicurezza, affrontano rischi significativi per la salute e la sicurezza: la pulizia di siti industriali inquinati, la protezione delle centrali nucleari, l’assistenza agli anziani in ambienti con alte temperature e così via. Le esternalizzazioni hanno lasciato questi lavoratori non solo senza retribuzioni per malattia o diritti pensionistici, ma anche nell’estremità cruciale della crisi climatica. Questi, infatti, sono i lavori in più rapida crescita, e anche quelli con i più bassi tassi di sindacalizzazione.

I sindacati possono usare la loro capacità organizzativa e istituzionale per facilitare i lavoratori a organizzarsi. I lavoratori nelle loro scelte collettive sanno come migliorare i processi di lavoro a beneficio di tutti. Un sindacalismo per la giustizia climatica dovrebbe ricostruire il potere dei lavoratori sul posto di lavoro e a livello aziendale, con l’obiettivo di regolamentare le multinazionali dal basso. La campagna Climate proof our work del Congresso Internazionale dei sindacati è un modo per iniziare questo processo di ricostruzione del potere dei lavoratori ed è l’antidoto perfetto contro le campagne ambientali aziendali che troppo spesso equivalgono al greenwashing.

A livello settoriale, i sindacati potrebbero facilitare i lavoratori a impegnarsi nella contrattazione aziendale con i datori di lavoro. La democratizzazione del processo di contrattazione non solo genererebbe uno spirito democratico tra i lavoratori, ma costringerebbe anche le aziende ad agire collettivamente nell’interesse del proprio settore e dei suoi stakeholder. Un sindacalismo per la giustizia climatica potrebbe usare le disposizioni in materia di istruzione, salute e sicurezza dei contratti collettivi per migliorare le competenze dei lavoratori e ristrutturare le aziende, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbone e migliorare le norme sul lavoro.

Poiché l’approccio del potere sociale per una transizione ecologica giusta implica la creazione di coalizioni tra comitati di lavoratori, così un sindacalismo per la giustizia ambientale implicherebbe l’organizzazione di ‘tutto il lavoratore’. Dopo tutto, i problemi dei lavoratori non sono solo radicati nei loro luoghi di lavoro, ma anche nelle loro comunità. Ad esempio, i lavoratori a basso salario hanno anche maggiori probabilità di vivere in aree inquinate. Inoltre, i politici si stanno muovendo verso l’introduzione di tasse sulle emissioni di CO2 che graveranno soprattutto sui lavoratori a basso salario. I cambiamenti climatici richiederanno ai sindacati di ricostruire il potere dei lavoratori –economicamente, socialmente e politicamente –se vogliono davvero che i lavoratori non paghino il prezzo per la riduzione dei cambiamenti climatici e per la transizione a un’economia a emissioni zero.

Argomenti: fridayforfuture, giustizia climatica
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