CONTRO LA RIFORMA DELLE PENSIONI E IL SUO MONDO
In Francia, dove lo Stato sociale è sempre più sotto attacco, ma dove le lotte sociali sono riuscite a rallentare il processo di neoliberalizzazione, solo il 2% della popolazione è coinvolto in assicurazioni pensionistiche private. Nel resto del mondo occidentale, e soprattutto nei paesi anglosassoni, i fondi pensione rastrellano notevoli quote dei contributi pensionistici [1]. È quindi comprensibile che l’architetto della riforma in corso sia una figura come Jean-Paul Delevoye, un funzionario “anziano”, i cui molteplici mandati e stipendi a cinque cifre hanno causato uno scandalo tale da costringerlo a dare le dimissioni. Riceveva redditi dalle compagnie di assicurazione, che attendono con ansia l’apertura di questo mercato molto redditizio e sottosviluppato formato dai nostri anni di vecchiaia. Questo è un tipico esempio della natura strutturale della corruzione nell’era del neoliberismo autoritario.
Questa riforma mira a distruggere un sistema pensionistico basato – nonostante tutti i suoi limiti – sul principio della solidarietà intergenerazionale e interprofessionale. Si tratta di una riforma sistemica – con il passaggio da un sistema retributivo a un sistema contributivo – e di una riforma parametrica – che introduce l’età di riferimento (âge pivot) allungando il periodo contributivo. Per quanto antisociali, le altre riforme attuate dal 1993 non avevano modificato le basi del sistema pensionistico. Con il pretesto di semplificare il sistema attuale, il mostro uscito dal cappello di Macron sta cancellando il sistema a prestazione definita (con la garanzia legale di un tasso di sostituzione del salario o del reddito di attività) e lo sostituisce con un sistema in cui rimangono definiti solo i contributi da versare (senza sapere esattamente quale sarà il livello effettivo della pensione, a causa della volatilità dei valori dei punti).
Finora il sistema pensionistico è sempre stato oggetto di dibattito politico sotto il profilo dell’aumento della quota di ricchezza prodotta dalla società che viene destinata alle pensioni. Il dibattito si è quindi concentrato sull’alternativa tra l’aumento dei contributi o l’età di pensionamento, ma anche sulla questione della parità di tenore di vita durante la vita lavorativa e dopo il pensionamento. Il sistema a punti permetterà di svuotare questo dibattito politico proponendo una gestione puramente economica e di bilancio del sistema pensionistico. Questa volatilità è un punto politico fondamentale: profondamente antidemocratica, crea una totale incertezza sui diritti di cui tutti potranno godere in pensione, diritti che dipenderanno dalla buona volontà dei tecnocrati statali.
Come se non bastasse, Macron ha voluto provare il tutto per tutto, proponendo allo stesso tempo una modifica del calcolo delle pensioni. Al momento, la maggior parte delle pensioni sono calcolate tenendo conto dei migliori 25 anni di carriera, in questo modo si compensano (un po’) gli anni di duro lavoro, i lavori occasionali, la disoccupazione o il lavoro a tempo parziale. Ma con la riforma si terrà conto dell’intera carriera. Secondo varie stime, ognuno di noi perderà il 10, 20 o addirittura il 30% o più della propria pensione mensile. Per i precari e le donne in primo luogo, è un vero e proprio massacro. Se a questo aggiungiamo il prolungamento dell’orario di lavoro, possiamo constatare che la questione delle pensioni è davvero una questione di vita o di morte. Con l’età di riferimento di 64 anni, coloro che non hanno lavorato senza interruzioni, per vari motivi, lavoreranno fino all’età di 65, 66, 67 anni per ricevere una pensione adeguata. A parte il fatto che 67 anni, oggi, è l’aspettativa di vita media di un lavoratore in buona salute.
Questa riforma delle pensioni si iscrive così nel solco delle leggi che hanno eroso il modello sociale francese dopo l’intronizzazione di Macron: leggi sul lavoro I e II, riforma della maturità secondaria, selezione nell’università (ParcourSup), riduzione degli APL (Aiuti sociali per l’affitto), riforma della disoccupazione, ecc. Tutte queste trasformazioni formano un insieme: fanno sistema. Un sistema punitivo che mira a riconfigurare in senso privatistico e autoritario le istituzioni dello Stato sociale. L’obiettivo politico primario di questi accordi è quello di disciplinare maggiormente i tempi di vita attraverso l’introduzione di meccanismi di bonus e punizioni, di peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro e di minare definitivamente i margini di contrattazione dei lavoratori. In altre parole, come le riforme austeritarie introdotte in altri contesti nazionali (Grecia, Italia, Spagna, ecc.), si tratta di rendere più flessibili le modalità di ingresso, permanenza e uscita dal mercato del lavoro per governare meglio l’intero ciclo della riproduzione sociale. Si tratta quindi di questioni fondamentali, che richiedono un movimento su larga scala.
REINVENZIONE DELLO SCIOPERO E CONTAGIO DI MASSA DELLO STILE GILETS JAUNES (GILET-JAUNISATION DE MASSE)
La portata dello sciopero iniziato il 5 dicembre è stata storica, sia nel settore pubblico che in quello privato. La stessa portata, o anche di più secondo i settori, di quella del movimento del 1995 che aveva provocato il ritiro di Juppé e del suo progetto di prolungare la durata dei contributi. Tuttavia, la situazione sociale e politica è molto diversa. Dopo tre pesanti sconfitte (Legge sul lavoro I e II nel 2016-2017, poi il taglio dei rami secchi ferroviari nel 2018), il movimento sindacale non sembrava più in grado di ottenere grandi vittorie al di fuori del ristretto quadro delle imprese. La rivolta dei Gilets Jaunes, tanto inaspettata quanto potente, dava l’impressione che si stesse verificando un’inversione di tendenza – anzi rafforzandola a causa delle critiche radicali alle centrali sindacali – ma sembrava indebolirsi dopo un anno di continue rivolte. Al posto di un reciproco “affanno”, si è verificata una rinascita della lotta, mescolando forme tradizionali del movimento operaio con un “effetto giallo” di aggressività, creatività e apertura dei temi delle lotte, il tutto costruito sull’auto-organizzazione e sulla ridefinizione delle forme dello stare insieme e della militanza. Un grande movimento di democrazia diretta che non è sfuggito agli stessi media mainstream, che hanno cominciato a parlare del diffondersi dello “stile Gilets Jaunes del conflitto”.
Le cifre dello sciopero sono impressionanti. Nessun altro contesto nazionale in Europa mostra una tale disponibilità a fermare il lavoro e a protestare contro la gestione neoliberale delle crisi. I/le dipendenti della RATP [2] e della SNCF [3], riunit* in riunioni inter-sindacali, hanno incrociato le braccia per tre settimane e hanno continuato per tutte le vacanze di Natale. Gli/le scioperanti in questi due settori chiave e combattivi stanno attualmente producendo un vero e proprio blocco metropolitano in Île-de-France e un notevole rallentamento del traffico dappertutto altrove. Anche gli scioperi nel settore energetico sono molto importanti: elettricità, petrolio e nucleare. In questi settori strategici, lo sciopero è stato molto ben seguito: l’80% in alcune centrali nucleari, il 44% del personale EDF e 7 delle 8 raffinerie bloccate, oltre a 12 depositi petroliferi. Sono stati chiusi anche diversi grandi impianti petrolchimici, come quello di Lavéra, dove la prosecuzione è stata approvata da oltre l’80% degli scioperanti. Lo sciopero del 5 dicembre è stato forte anche nel trasporto aereo (con il 30% dei voli cancellati), nell’istruzione (circa il 75% in tutta la Francia), nel servizio civile (circa il 32%) e nel settore ospedaliero (16%). C’era anche una grande presenza di vigili del fuoco, i cui fuochi d’artificio scandivano il ritmo delle marce. Questa dinamica è durata tre settimane e potrebbe essere ripresa dopo le vacanze.
Anche i numeri delle manifestazioni sono grandiosi: oltre 250 in tutta la Francia, con 1,5 milioni di persone mobilitate il 5 dicembre e 1,8 milioni il 17 dicembre, a cui si aggiungono altre giornate di manifestazioni più modeste ma altrettanto significative. In questi cortei guidati da operai salariati, precari, disoccupati, ma anche studenti, liceali, Gilets Jaunes e gruppi ambientalisti e femministi – i canti e le rivendicazioni sindacali si mescolavano a quelle dei Gilets Jaunes: da “Macron démission” a “Révolution! Révolution!”, la rivolta del 17 novembre 2018 ha ormai condizionato l’immaginazione del conflitto in ampi settori della popolazione. Un altro piacevole effetto giallo, salutato dallo stesso Philippe Martinez: in molte piccole città e villaggi si sono svolte manifestazioni che hanno raccolto da poche centinaia a poche migliaia di persone. Anche i caselli autostradali sono stati bloccati e i ronds-points sono stati occupati o rioccupati in vari punti.
Queste due grandi giornate si sono articolate con gli Atti del sabato gestiti dai Gilets Jaunes e a volte rilanciati da strutture sindacali di base. Lo abbiamo visto nell’Atto 59, dedicato al “raduno generale”. L’ultimo Atto prima degli Anni ’20 era iniziato davanti alla Borsa di Parigi alle 11 del mattino. Dall’inizio dello sciopero, alcune strutture sindacali di base sono state coinvolte negli atti del sabato, ma il sabato 28 dicembre è stato un vero e proprio snodo: i Gilets Jaunes di tutta la Francia hanno risposto all’appello degli scioperanti che non hanno concesso a Macron nessuna tregua durante le vacanze di fine anno. La scelta di questa data ha reinvestito l’intelligenza tattica dei Gilets Jaunes acquisita durante i primi atti del 2018 per tenere testa alla polizia pur rimanendo dinamica, in particolare in rue du Renard (accanto al notot Centre Pompidou, ndr.), dove l’atmosfera di barricate in un clima di festa popolare ricordava il clima insurrezionale dello scorso dicembre.
La questione dell’effetto giallo nello sciopero non è quindi solo una questione di inventiva e di incontri, ma anche e soprattutto di estensione della lotta e della sua temporalità a chi non combatteva o non combatteva più. Da questo punto di vista, le mobilitazioni del sabato vanno forse rafforzate e amplificate, essendo la scelta del fine settimana un fantastico vettore di politicizzazione di massa per coloro per i quali organizzarsi sul lavoro è molto difficile, addirittura inconcepibile, soprattutto perché le perdite salariali di un lungo sciopero sono insopportabili per molte persone. Anche da questo punto di vista, la convergenza dell’attuale movimento di sciopero con i lavoratori più atomizzati è ancora da costruire, perché è sempre più difficile entrare in sciopero nelle start-up, nei settori dove c’è un ambiente di lavoro precario o nelle aziende dove i capi esercitano il loro comando in piena libertà.
AMPLIFICARE LO SCIOPERO: ESTENDERE IL REPERTORIO D’AZIONE
A sostegno dello sciopero e per amplificarne l’effetto già massiccio, una miriade incredibile di azioni di blocco sono state dispiegate su tutto il territorio, a livelli di intensità senza precedenti. Un numero molto elevato di centri logistici è stato bloccato, la maggior parte dei principali porti ha subito gravi perturbazioni, le fabbriche sono state temporaneamente neutralizzate e sbarramenti più o meno rigidi hanno invaso le circonvallazioni, le tangenziali, le rotatorie e i caselli. Anche molte università e un numero impressionante di scuole superiori sono state bloccate fin dai primi giorni del movimento. Ispirati dal movimento ambientalista, Gilets Jaunes, sindacalisti o entrambi hanno fatto irruzione nei i grandi centri commerciali, simboli per eccellenza del consumo produttivo e delle nuove logiche di sfruttamento del capitalismo. Nella regione dell’Île-de-France, le stazioni degli autobus della RATP – i cui dipendenti più precari hanno difficoltà a mobilitarsi – sono state al centro di una lotta feroce ogni mattina all’alba, che ha riunito diverse centinaia di attivisti di sostegno, distribuiti su sette o otto blocchi di depositi.
Di fronte a questi nodi strategici per l’arresto della produzione e la circolazione delle merci stanno gli/le insegnanti, i lavoratori ospedalieri, i vulnerabili, i/le disoccupat*… ma anche gli studenti, gli studenti delle scuole superiori, gli/le ecologist*, i Gilets Jaunes (con o senza gilet), che si incontrano regolarmente. È quindi un vero e proprio rifiuto della settorializzazione della lotta che inaugura ogni giorno di mobilitazione, intorno a un fuoco e a un bar chiuso. È la prova che si tratta di una questione strategica: la repressione si è intensificata anche contro questi picchetti e gli scontri iniziano già alle 5 del mattino. Usando gas lacrimogeni e manganelli – ma anche LBD (spara-pallottole di caucciù) per le scuole superiori – la polizia cerca di spezzare la determinazione degli scioperanti, senza riuscirci. Un evento raro nella storia dei movimenti sociali, ma che ricorda la storia recente dei Gilets Jaunes, questo processo alimentato dal basso, fondato sul principio dell’orizzontalità, non conosce tregua durante le vacanze di Natale.
Se il repertorio delle azioni si è dispiegato con un’ampiezza inedita, anche le forme di azione diretta hanno superato il contorno abituale e hanno dimostrato il potenziale offensivo degli scioperanti. Nel settore elettrico (EDF), per esempio, i comitati di mobilitazione hanno provocato un numero considerevole di interruzione di corrente in punti strategici come i magazzini Amazon, le sedi comunali e le prefetture. Il 25 dicembre centinaia di migliaia di case (500mila nell’Île de France) hanno potuto approfittare di una riduzione selvaggia delle tariffe. Dal lato ecologico, il sabotaggio dei monopattini si è moltiplicato davanti a questi dispositivi di sabotaggio dello sciopero, altamente inquinanti e ricaricati dai sottoproletari. Nei pressi di Rennes, i dipendenti dell’impresa Remade che minacciava di chiudere le porte, si sono messi a frantumare migliaia di I-phone in segno di minaccia. A Parigi manifestazioni sono state indette dalla base di SNCF e RAPT, al di fuori dei sindacati, con invasioni delle stazioni e il blocco delle linee automatiche della metropolitana. Un allargamento delle forme di azione che ricorda in qualche modo i processi manifestatisi durante i grandi scioperi del 1936 e del 1968.
Si tratta anche dell’attraversamento di confini intersettoriali, all’opera nella creazione di casse di sostegno per gli scioperanti e per la loro autogestione democratica. In questo, si può vedere un’altra forma della dimensione neo-mutualistica propria delle casse dei Consigli della Resistenza da cui è storicamente nato il sistema sanitario nazionale. Queste casse permettono non solamente di sostenere la durata del movimento ma anche di conservare lo sciopero nelle mani degli scioperanti. Il regalo di Natale ideale di quest’anno sarà dunque una donazione a una delle molte casse di sciopero intersettoriale, piccole o enormi. E per il veglione di fine anno [Réveillon ribattezzato Gréveillon] sono state organizzate molte feste di sostegno, perché non si fa la rivoluzione senza danzare. Come le assemblee locali, queste casse per lo sciopero superano di volta in volta i limiti corporativisti, istituendo una forma di contropotere autonomo in rapporto alle centrali e alle federazioni sindacali.
In definitiva se la forza delle organizzazioni sindacali tradizionali non è più quella del 1995, la creatività e la molteplicità delle pratiche di lotta messe in opera nelle ultime settimane testimonia una vera reinvenzione dello sciopero per affrontare le sfide al capitalismo contemporaneo. Una reinvenzione che passa attraverso la diffusione delle logiche e delle pratiche d’azione dei Gilets Jaunes che attacca il nodo della circolazione e della riproduzione della società e che esprime un antagonismo inseparabile dalle forme di organizzazione autonome e orizzontali.
AUTO-ORGANIZZAZIONE RINNOVABILE
Se questo sciopero ha potuto prendere un aspetto così particolare è anche per le forme di autorganizzazione su cui si appoggia. Durante queste tre settimane, sono stati proprio gli scioperanti che hanno preso le redini del movimento decidendo collettivamente della sua potenza e della sua forma. Delle assemblee generali interprofessionali sono nate ovunque sul territorio, sotto la spinta dei settori più attivi, ma largamente aperte a tutti gli scioperanti, ai Gilets Jaunes e ad altre componenti. In numerosi casi queste assemblee generali sono diventate delle vere assemblee locali, quasi assemblee di quartiere, dove le discussioni eccedono largamente il quadro della riforma delle pensioni. Come era successo con i Gilets Jaunes la prossimità – spaziale e affettiva – si rivela una dimensione imprescindibile e decisiva.
Superando in molti casi le categorie socio-professionali, anche perché lo sciopero di massa dei trasporti riconfigura lo spazio metropolitano, le persone che si mobilitano si incontrano nella dimensione locale, nel territorio e nei quartieri, per confrontarsi tutti i giorni, scambiarsi idee continuamente e mettere in atto azioni di diversa natura, praticando ogni giorno la democrazia diretta. Queste assemblee pongono la questione dei legami fra i diversi settori, dei legami fra i temi di lotta e infine del legame sociale. Per dirlo altrimenti pongono questioni democratiche, avendo nel mirino – anche se non sempre viene reso esplicito – il rovesciamento dell’odiato regime macronista.
Il tema pensioni è troppo ristretto per contenere tutte le rivendicazioni, ma è un buon punto di partenza per allargare il quadro delle discussioni nelle assemblee generali. La questione delle pensioni delle donne è, come noto, uno dei problemi principali e il movimento femminista è una forza sulla quale bisognerà contare. Le mobilitazioni di massa contro le violenze sessiste del 23 novembre hanno prodotto un’onda che ha contaminato già il movimento delle pensioni come dimostra il canto cileno cantato alla testa dei cortei «el estado opresor es un macho violador». Su questo punto in particolare il discorso del Primo Ministro Édouard Philippe è una vera dichiarazione di guerra. Un altro fronte di lotta capace di riscaldare i cortei è l’ecologia con le sue molte ramificazioni. In queste ultime settimane numerosi collettivi hanno preso posizione sulla riforma delle pensioni per sottolineare i legami fondamentali fra il modello produttivista, l’allungamento del tempo di lavoro e la perdita di tempo libero. In breve: il possibile rafforzamento di queste dinamiche lascia intravedere un inizio d’anno esplosivo.
È anche la forza di queste assemblee che ha dato un altro aspetto alla testa dei cortei delle manifestazioni, con pratiche meno offensive ma con una composizione più eterogenea e molto più di massa. In prima fila in questi cortei di decine di migliaia di manifestanti si trovano persone di ogni fronte di lotta (studenti, insegnanti, ospedalieri, macchinisti, pompieri, mondo della cultura) E tale composizione, se è molto più larga di quella delle manifestazioni del sabato, riprende le parole d’ordine e alcune pratiche di lotta dei Gilets Jaunes, quanto ne costituisce il vero patrimonio e l’eredità più preziosa.
La moltiplicazione dei cartelli fatti a mano e con slogan originali è un esempio, fra gli altri, di queste pratiche che permettono di superare il peso schiacciante dei grandi palloni dei sindacati. Dal lato dell’istruzione ogni liceo o collegio viene con il proprio striscione, con il nome dell’istituto esposto come ancoraggio specifico. Dal lato della RAPT molte linee del metro hanno il proprio striscione, che rende il senso della loro presenza in un corteo autonomo. Quello che altre volte era una parte – anche imposta – del corteo è oggi divenuta la manifestazione tutta intera. Con un gioco di parole potremmo spingerci a dire che “il corteo di testa” si è trasformato in “testa e cuore del corteo”. Il superamento del quadro classico delle manifestazioni è ormai generale e prodotto da decine di migliaia di persone, la questione che si pone oggi è quella di una riconquista del percorso delle manifestazioni più incisivo, lo stesso superamento della forma corteo, andando a cercare i responsabili politici nei luoghi del potere e nei quartieri borghesi della capitale.
Si ritrova qui, come nei blocchi, una determinazione che oltrepassa le modalità classiche di mobilitazione sociale e delle federazioni sindacali che le perpetuano. E se questa dinamica si prepara già dopo molti mesi – come mostra lo sciopero vittorioso dei macchinisti per esempio di Chatillon o le lotte del settore ospedaliero e dei pompieri – essa costituisce ormai la grammatica politica di base di tutte le mobilitazioni.
MACRONISMO IN PENSIONE (LA MACRONIE EN RETRAITE)
Per sperare di uscirne, il governo Macron contava su una rottura del fronte sindacale, via via che delle piccole modifiche sono apportate alla riforma. Salvo che, per il momento e in modo abbastanza sorprendente, le cose non sono andate come previsto. Nell’UNSA (confederazione sindacati autonomi) una parte importante della base sindacali resta sorda agli appelli alla tregua e la stessa CFDT (il primo sindacato “riformista” francese) [4] non si è addormentata dopo il primo giro di negoziati.
Una questione posta dall’inizio della fase politica aperta nel 2016 è il cambiamento profondo del ruolo dei sindacati che, per la legge sul lavoro (Loi Travail) dovevano assumere una semplice funzione di negoziazione settoriale, o addirittura all’interno di ogni impresa, mentre le basi si rendevano sempre più autonome in rapporto alle strutture centrali e alle federazioni, sviluppando pratiche di lotta sempre più aggressive. Malgrado il ruolo giocato fino a oggi dalle direzioni sindacali, il ciclo in corso conferma questa tendenza. Sono, in effetti, gli scioperanti che – in rapporto con diversi nodi di lotta – hanno preso l’iniziativa politica in questo movimento, estendendo e intensificando i blocchi economici. La conferma della presenza della CFDT nel fronte sindacale, dopo la dichiarazione provocatrice di Édouard Philippe, è il segno bello e buono delle contraddizioni che attraversano il mondo del lavoro e delle sue organizzazioni: da una parte, la presenza di un movimento di massa e autonomo rispetto a degli organi di “rappresentanza del mondo del lavoro”; dall’altra, un esecutivo ferocemente indisponibile a qualsiasi forma di mediazione sociale.
Le centrali sindacali vengono così incastrate tra il martello di un potere autoreferenziale e l’incudine di un movimento di massa che verte su una questione così generale e cruciale come quella delle pensioni e che di conseguenza interessa vasti settori della società. Strati sociali che hanno visto da più di un anno la potenza del movimento dei Gilets Jaunes, ma che hanno anche constatato l’ostilità delle centrali sindacali contro questa forza e la sua irriducibile determinazione. Se numerose basi sindacali non hanno atteso questo movimento per posizionarsi all’interno delle loro organizzazioni e contro le logiche delle loro direzioni, il fenomeno sembra oggi prendere un’ampiezza inattesa e toccare anche i sindacati più inclini alla negoziazione rapida e più disciplinati al loro ruolo di partner sociale. Il movimento di generalizzazione e di radicalizzazione dello sciopero può dunque essere considerato come una bella occasione di ricomposizione politica.
A questo proposito esiste un sentimento comune che lega il Natale 2018 nei ronds-points a quello del 2019 nelle stazioni e nei picchetti: la rinascita del sentimento di fraternità che fa dell’orizzontalità una forma di organizzazione, di autonomia e di strategia offensiva. È tale fraternità che determina un doppio movimento di rottura e di riappropriazione della festività, interrompendo la riproduzione del Natale come consumismo e ordine statal-familiare, reinventando una temporalità di lotta festiva e insurrezionale. Se in alcuni momenti noi abbiamo continuato a utilizzare l’espressione “base sindacale”, ci sembra più corretto parlare semplicemente di scioperanti.
La vecchia dialettica tra la base e le centrali sindacali è stata spiazzata grazie all’unione di una molteplicità di dinamiche di lotta che non solo rifiutano la forma stessa dei negoziati, ma la privano di senso. Al di là dell’uso retorico, è il senso profondo del leitmotiv di “Noël: la grève appartient aux grévistes” [“Natale, lo sciopero appartiene agli scioperanti!]. Come l’ultimo Natale sui ronds-points, durante queste feste nelle stazioni, nei picchetti e nel mutualismo delle casse di sostegno allo sciopero, è la fraternità che si esprime come una potenza collettiva e una linea di demarcazione tra l’amico e il nemico di classe. La fraternità è la fonte e la linfa vitale della determinazione dei ronds-points e dei picchetti: noi andremo fino alla fine.
Per concludere, la riforma delle pensioni è servita a catalizzare un insieme vario di rivendicazioni che si esprime da diversi mesi in Francia e che è ridiventato intensivo questo autunno. Questa dinamica di espansione delle contestazioni contro Macron e il suo mondo è ormai animato da una composizione larga e trasversale. Con lo sciopero, ha preso un carattere massivo che riconfigura le pratiche di lotta e veicola dei contenuti politici molto importanti. Macron, la punta di lancia del neoliberalismo autoritario in Europa, deve ormai affrontare degli strati di rivolte che si sovrappongono gli uni sugli altri e che potrebbero rinforzarsi reciprocamente.
La densità di queste ultime tre settimane è chiamata a prolungarsi, in risposta alla rigidità del Governo. Da qui alla prossima grande manifestazione, del 9 gennaio, i processi di auto-organizzazione potrebbero consolidarsi ancora e nutrire la possibilità di una sollevazione di grande portata. A questo proposito, l’onda di assemblee permette anche di vedere più lontano e forse di immaginarie il movimento diventare duraturo. E poiché il progetto di legge dovrebbe essere presentato al consiglio dei ministri a fine gennaio, poi davanti al parlamento a fine febbraio, è molto probabile che la contestazione superi il suo progetto iniziale di ritiro della riforma e che raggiunga degli orizzonti inattesi.
[1] Degli 11 miliardi dei patrimoni delle famiglie in Francia, più di due terzi sono destinati al patrimonio immobiliare, 1.500 miliardi ai conti di risparmio e alle assicurazioni sulla vita e solo 130 miliardi sono destinati agli attuali piani di risparmio previdenziale: il potenziale di sviluppo del mercato dei fondi pensione è quindi immenso. Per il momento, tuttavia, la riforma a punti aprirà soprattutto a questi fondi redditi molto elevati. Con la scomparsa dei contributi per i redditi superiori a 10.000 euro al mese, questa riforma consentirebbe a istituzioni come Black Rock o BNP Paris-Bas Asset Management di attrarre 3 miliardi di euro dalle 300.000 famiglie più ricche della Francia. Sulla riforma stessa, la Francia si prepara così a fare ciò che gli Stati Uniti hanno fatto 45 anni fa con la legge ERISA: il passaggio da un sistema pensionistico a contribuzione definita a un sistema pensionistico a prestazioni definite. Tuttavia, va sottolineata una differenza: mentre il sistema a capitalizzazione subordina i contributi ai capricci dei mercati finanziari – e dal 2008 sappiamo quanto questi capricci possano rivelarsi rovinosi per molti pensionati – la riforma francese nella sua forma attuale li subordinerebbe alla buona volontà del governo secondo lo stato dei conti pubblici. In breve, questi contributi svolgerebbero il ruolo che una forza lavoro con contratto a tempo determinato svolge in un’impresa commerciale: una variabile di aggiustamento dell’impresa Francia.
[2] La RATP è la società che gestisce metro e trasporto regionale in Ile de France, regione parigina.
[3] SNCF è l’equivalente dell’italiana Trenitalia.
[4] Il CFDT, che si oppone semplicemente all’età di riferimento, si limita a difendere i lavoratori che beneficiano di un certo grado di sicurezza del lavoro a scapito della forza lavoro il cui percorso di carriera è più incerto e precario.