Fabio Franceschi si è finalmente mostrato per quello che è: un padrone bugiardo e razzista. Abbiamo tutti letto le aberranti dichiarazioni apparse su quotidiani come Il Gazzettino, Libero e la Stampa nei quali dopo il patteggiamento dei due suoi manager per le vicende legate al caporalato all’interno di Grafica Veneta si è sentito libero di dire tutto ciò che pensa dei lavoratori di BM Services impiegati all’interno della sua azienda e che hanno subito gravissimo sfruttamento (turni da 12 ore al giorno per 27/28 giorni al mese), estorsioni, minacce e violenze. Lavoratori, che venivano pagati 4/5 euro non sarebbero vittime, ma dei truffatori che vorrebbero estorcere un posto di lavoro a Grafica Veneta. Anche le violenze immortalate dalla foto del lavoratore legato e abbandonato sarebbero una messa in scena “Ma li ha visti? “ dice Franceschi al giornalista de la Stampa “avevano la mascherina in faccia per calunniarci e le braccia aperte dietro”. Anche il fatto che vivessero in venti in una casa dove pagavano 120 euro a testa a BM Services (a fronte di un affitto di 800 euro) viene negato. Anzi, secondo Franceschi vivevano “neanche male” visto che secondo lui “loro sono un po’ così, pulizia e bellezza non è che facciano parte della loro cultura”.
E qui viene fuori la vera anima razzista del padrone veneto. I lavoratori pachistani, come i neri nelle piantagioni andavano bene finché producevano a testa bassa, senza fiatare e accettando quanto gli veniva dato. Quando hanno osato rivendicare i loro diritti quando hanno chiesto di essere trattati come qualsiasi cittadino veneto, come qualsiasi essere umano, hanno sfidato l’ordine razzista di Grafica Veneta; perchè il razzismo alla fine è banalmente questo: stereotipi, culturalismi infondati, vere e proprie falsità e un senso di superiorità finalizzato a dividere e segmentare la società e i lavoratori. I pachistani non possono insomma pretendere di essere trattati come gli italiani. Franceschi ci dice che se la servitù della gleba non può essere accettata allora assumerà solo italiani, o meglio veneti.
“Con gli italiani non ci sono problemi” invece con gli stranieri sì. “Ci sono stranieri che, negli anni scorsi, hanno affittato case, ma ora non pagano le spese condominiali ed è impossibile mandarli via. Il nostro territorio è un po’ traumatizzato da questa presenza particolare. Non ce la sentiamo di assumere gente che non vive qui, perché la nostra è come fosse una famiglia”.
Per Franceschi non sarebbe successo nulla dentro l’azienda di Trebaseleghe, e suoi validi manager devono tornare al loro posto. Per lui la vicenda è chiusa e il patteggiamento una piccola scocciatura fatta solo per non aspettare i tempi della giustizia. Per noi la vicenda non è affatto chiusa con il patteggiamento. L’abbiamo sempre detto: la vicenda sindacale è un’altra storia. Detto ciò non possiamo non sottolineare come questa scelta processuale valga come un’ammissione di colpevolezza, dato che di fronte ad un reato così infamante, come è quello di caporalato, chiunque sicuro della propria innocenza avrebbe ’interesse ad essere giudicato. La vicenda non è chiusa e nei prossimi giorni torneremo a dirlo con forza, rivendicando l’assunzione dei lavoratori di BM Services, ricordando che questo è quello che Grafica Veneta ha promesso un mese fa davanti al Prefetto di Padova.
Non è possibile derubricare le parole di Franceschi, presidente di un colosso dell’industria culturale, come boutade, giustificandole magari con lo stereotipo del veneto ignorante. Non è accettabile che chi è stato gravemente sfruttato oggi si ritrovi denigrato e colpevolizzato da chi ha beneficiato tramite il sistema degli appalti del grave sfruttamento.
Non è accettabile che le istituzioni, Regione Veneto in primis, non dicano una parola su quello che è successo in Grafica Veneta e sulle affermazioni razziste di Franceschi.
Come sindacato chiediamo a tutti i lavoratori e le lavoratrici di Grafica Veneta di non accettare il razzismo, chiediamo alle case editrici, agli scrittori e alle scrittrici, a tutto il mondo della cultura di prendere parola e fare pressioni sull’azienda.
La nostra lotta perché sia fatta giustizia non si ferma.