Pubblichiamo qui un primo contributo sulla crisi di governo ed istituzionale che si è aperta nel nostro Paese. La rilevanza dei fatti che si stanno susseguendo in queste ore e le potenziali ricadute politiche e materiali sulla società richiedono una approfondita analisi e riflessione collettiva, per questo nei prossimi giorni ospiteremo altri contributi.
ADL COBAS
29.05.18
CRISI DI GOVERNO. Dubbi, perplessità, nemicità.
Le competizioni elettorali non ci hanno mai entusiasmato, se non per leggervi gli spazi di manovra che i movimenti ci possono ricavare, verificare, forzare. Queste ultime men che meno a fronte di un vuoto di prospettiva delle sinistre ed un incalzante ritornello delle destre: il risultato s’è visto. Il Paese, nauseato da una campagna elettorale infinita, con la nomenclatura dei partiti istituzionali sfarinata, con le istituzioni delegittimate, è slittato a destra in balia di chi aveva abbaiato più forte e parlato meglio alla pancia del popolo votante. Un paese che, piaccia o no, alle urne ha chiesto, comunque e contraddittoriamente, un cambiamento sociale oltre che della classe politica di governo.
Un cambiamento elettorale profondo, che, registrato politicamente nelle istituzioni, ha fatto vacillare le certezze, i riferimenti di tutti i vecchi registi e attori politici. E la maionese istituzionale è impazzita, i parlamentari zittiti, i partiti hanno messo da parte i programmi e gli steccati che li avevano resi avversari nell’infinita campagna elettorale. Tutti tranne il PD, che accecato dalla sua bruciante sconfitta sociale ed elettorale, non ha saputo trovare un equilibrio – e la sua salvezza – al tavolo di confronto per un governo con i 5 stelle. Roba da mentecatti, i cui effetti dirompenti si sono, poi, e oggi, visti.
Un patto-contratto di governo tra 2 soggetti politici, M5S e Lega, accumunati dalla vertigine del potere, dall’odio-avversione anti immigrati, dallo scetticismo verso le istituzioni europee, da una pratica politica populista da sempre irrispettosa del galateo istituzionale e delle istituzioni stesse. Tutti ricordiamo i proclami eversivi della Lega e le sparate ad alzo zero di Grillo. Molti analisti hanno messo, anche bene, in evidenza la diversità della base sociale ed elettorale dei 2 partiti che hanno costruito il patto-contratto di governo affidato al candidato premier Conte, che con la sua squadra avrebbe dovuto, poi, misurarsi con gli equilibri parlamentari e con le istanze, i movimenti sociali del paese. Non è stato così.
Il presidente Mattarella, forte delle sue prerogative di nomina dei ministri e di salvaguardia dell’integrità della nazione, si è messo di traverso negando la nomina a ministro di Paolo Savona, noto economista, già membro dell’establishment della ‘governance’ di Monti, Berlusconi, Banca d’Italia, Alitalia, Fondi finanziari vari, perché con le sue prese di posizione, rispetto alla UE e BCE, avrebbe messo a repentaglio investimenti e risparmi in Italia, e la sua stessa permanenza in Europa.
Da crederci, così, a scatola chiusa? Troppo poco, ci deve essere un qualcosa che ai comuni mortali non è dato sapere.
Il pericolo antieuropeo di Paolo Savona, ripescato nella prima stesura del patto-programma di governo, stava nella richiesta di cancellazione-revisione dell’ammontare di 250 mld di € per gli interessi passivi sul debito maturati dall’Italia verso la BCE e gli Investitori internazionali: una proposta da manuale di macroeconomia, già cavalcata da molti economisti italiani e stranieri, dal nobel Stiglitz a Varoufakis, a Stefano Fassina. Una proposta mai applicata se non nei paesi andati in default economico, quali l’Argentina e vari paesi africani: in Grecia è stata uno dei motivi del duro scontro sociale e politico che ha portato Syriza al governo e ma anche alla sua crisi politica.
Un reale pericolo, dunque, anche per l’Italia, visto il suo gran debito, ma 1° paese europeo per risparmio privato, 3^ economia europea, 7^ mondiale? Ventilato, forse, e comunque il Parlamento e la società italiana avrebbe potuto rispondere, da sé e per sé. Si pensi solo all’imprenditoria diffusa del Nuovo Triangolo Industriale, che è dipendente dalla Germania ed è il bacino in cui la Lega miete consensi, se non si vuol dar credito alle rassicurazioni dei 5 Stelle o alle possibilità che le piazze e i movimenti tornassero protagonisti della vita pubblica. Lungi da noi essere suprematisti di qualsiasi colore e declinazione o anti europei: siamo troppo legati al transnazionalismo delle lotte, alla circolazione libera di donne e uomini e all’internazionalismo proletario per chiuderci nel cortile di casa sperando di star meglio. Ma lo decidiamo noi, ci spendiamo le nostre vite ogni giorno.
Il Presidente della Repubblica ha – coscientemente – forzato le sue prerogative, assumendosi la responsabilità, qui sì con un ruolo di supplenza generale e una tirata d’orecchie da padre della Patria, di esautorare il voto e mandare i cittadini di nuovo alle urne, nel breve o brevissimo, periodo.
Cosa bolle in pentola? Grillo è stranamente silente. E’ Brennan, Trump, Putin, Orban, sono i suprematisti bianchi che strizzano l’occhio a Salvini, sono i fragili confini mediterranei che fanno tremare i polsi alla nostra democrazia parlamentare?
Non siamo in grado di conoscere il gioco quando le carte sono e rimangono coperte.
Ci sembra un azzardo, quello di Mattarella. Un autogoal. Ha dato l’incarico formare il governo a Carlo Cottarelli, uomo cardine del FMI, quello del taglio della spesa pubblica, della modernizzazione a scapito dei servizi ai cittadini, uno le cui scelte abbiamo combattuto con tutte le nostre forze. Ha rassicurato i mercati internazionali, glissando sui bisogni di reddito e servizi dei cittadini.
Ora le piazze dei 5 Stelle e di Salvini sventolano il tricolore, gridano il voto calpestato dei cittadini, chiedono la messa in stato d’accusa del Presidente. Mentre i soliti sondaggisti ci mostrano il volo al 27% della Lega, con la cordata del bocciato contratto per il potere che va ben oltre il 50% delle prossime intenzioni di voto.
In questo quadro terrà il Centro-Destra? Il M5S sarà fortemente ridimensionato? Risorgerà l’araba fenice del Centro-Sinistra? Potere al popolo a 2 cifre? Dovremmo, forse, affidarci a tali esili speranze?
Sarà difficile e dura per tutti ma in specie per i giovani, le donne, i disoccupati, i lavoratori perché questa congiuntura politica li tiene in stallo, immobilizzati in attesa di una ridefinizione istituzionale di là da venire, che ha tante, troppe ombre che solo il conflitto sociale può rischiarare.