Il 27 giugno scorso, Luca Mercalli ha scritto un articolo composto sostanzialmente da l’elenco di eventi climatici estremi avvenuti in questo periodo di cui poco o nulla hanno scritto i grandi media mainstream nazionali. Il passaggio dai Balcani al Baltico passando per la Russia occide3ntale di un anomalo caldo subtropicale ha provocato punte record di 40 °C in Ungheria e di 34,3 °C nel Lago Onega e ha provocato primati secolari per il mese di giugno in alcune città russe e ucraine come Mosca (34,8 °C), San Pietroburgo (35,8 °C) e Kiev (35 °C); il successivo arrivo di area più fresca da ovest ha scatenato a sua volta violentissimi e rovinosi temporali in tutto il nord Europa – un tornato su Beauraing in Belgio; un’altro su Saint-Nicolas-de-Bourgueil in Francia dove ha mozzato il campanile; una tromba d’aria devastante come mai successo a Hodonin in Repubblica Ceca che ha provocato 5 morti e 300 feriti; alluvioni lampo nel cantone svizzero di Neuchatel, in Baviera, Polonia e Romania. Nel continente americano una tempesta tropicale abbattutasi nell’Alabama ha provocato 14 vittime e anche là l’arrivo di una ondata di caldo con punte di 43 °C in Oregon e Washington ha creato gravi disagi: di questa ondata di calore, per la verità, qualcosa di più abbiamo saputo dai media nazionali visto la quantità di morti e ricoverati in ospedale che l’evento metereologico estremo ha provocato in Canada e negli Stati occidentali degli USA. Mercalli, però, riferiva nel suo articolo anche dei danni provocati a Chicago da un violento tornado e proseguiva elencando una serie di altri eventi, questa volta, abbattutisi sul nostro Paese: un anticliclone nord-africano carico di polvere sahariana che ha colpito prima la Sardegna con temperature di 40,5 °C a Olbia e poi la Sicilia, la Calabria e la Puglia con punte di 44,5 °C a Comiso e Augusta, 44,6 °C a Catalgirone, 44 °C a Catanzaro, quasi 43 °C nel Salento; un vento tempestoso, così lo definiva Mercalli, abbattutosi sul nord del Paese che domenica 20 giugno ha provocato molti danni nel Canavese in Piemonte, il giorno successivo nell’Astigiano, mercoledì 23 a Bolzano e, infine, giovedì 24 a Venezia. Un diluvio d’acqua martedì 22 ha colpito Torino provocando improvvisi e diffusi allagamenti in città.
Nel frattempo venivamo diffusamente informati dai tg e dai grandi quotidiani nazionali delle beghe e polemiche tra e nei partiti istituzionali che rappresentano il sale quotidiano delle cosiddette “pagine politiche”. Qualcuno potrebbe obiettare che anche sui cambiamenti climatici siamo periodicamente informati dai servizi e dai reportage sul dibattito e le proposte che scaturiscono dai summit ambientali dei “grandi” del Pianeta. Peccato che una lista come quella meritevolmente resa nota da Mercalli dimostri quanto arretrato, fuorviante e colpevole sia quel dibattito e quelle proposte volte al massimo e spesso neanche a questo, a contenere i rischi e i costi economici dei cambiamenti climatici in corso.
Il clima del Pianeta non sta cambiando ma è già irreversibilmente cambiato e gli eventi climatici estremi o anomali come li si voglia chiamare sono già in atto da tempo, travolgono popolazioni, città e ambiente, determinano eventi sociali come le migrazioni, la siccità, la fame. L’accelerazione delle epidemie nel Pianeta e la loro diffusione sempre più estesa come sta avvenendo con l’attuale sindemia da covid-19 ne è una conseguenza visibile e dolorosa e merita la stessa considerazione: viviamo in un Pianeta infetto che non può essere risanato con campagne vaccinali e isolamento sociale. Si dovrebbero pertanto trarre le necessarie e coerenti conclusioni e conseguentemente mettere in atto azioni di contenimento e contrasto veramente radicali che tali non possono essere se non si riconosce nella logica predatoria e estrattiva del capitalismo, in particolare nella sua versione dominante, feroce e vorace neoliberista, la causa principale dell’accelerazione tumultuosa di questi fenomeni. I cambiamenti climatici estremi non sono accidenti occasionali ma sono il frutto delle pratiche capitalistiche volte a estrarre profitto dallo sfruttamento assoluto delle risorse del Pianeta, naturali, animali, umane; allo stesso modo la diffusione di virus come quello che attualmente ci colpisce globalmente sono la conseguenza di salti di specie (spillover) determinati dallo stress che subiscono gli habitat in cui questi organismi vivono e lo scatenamento sempre più frequente della loro virulenza sull’uomo è legato strettamente all’inquinamento dei suoli, dell’aria, dell’acqua, alla diffusione di agricolture intensive e monocolturali, all’industria della carne basata sul proliferare di allevamenti intensivi: insomma, al sistema economico e finanziario che domina la nostra esistenza.
Visione catastrofistica? Troppe le forze e i poteri che concorrono a mantenere dominante questo sistema distruttivo e predatorio? Dobbiamo rassegnarci a vedere la parte ricca delle nostre società (quell’1% di ultraricchi che denunciava solo pochi anni fa il movimento occupy) acquistare già ora proprietà in Nuovazelanda perchè ritenuta geograficamente meno soggetta agli effetti dei cambiamenti climatici o investire cifre astronomiche in ricerca e viaggi spaziali per trovare possibili alternative al vivere quotidiano in questa terra infetta? Dobbiamo rassegnarci alla prospettiva sempre meno fantascientifica di vivere nel prossimo futuro in un mondo come quello ipotizzato in Elysium o possiamo già ora costruire alternative possibili a questo sistema?
Nel nostro contesto il primo passo non può che essere quello di denunciare con forza e in tutte le sedi possibile le falsità che stanno dietro ai progetti che la classe dirigente ci sta propinando come parti di una “transizione ecologica” che è, nella pratica, il suo contrario e cioè l’assalto da parte dello stesso complesso industriale che ha inquinato e depredato risorse nel nome del profitto ai fondi del Recovery Fund e a una serie di altri finanziamenti collegati con il concorso di buona parte delle forze politiche che sostengono l’attuale Governo. Legare insieme le tante pratiche e i tanti conflitti locali ambientali con le rivendicazioni salariali, reddituali, sociali (casa, welfare, salute) che sono presenti, sparse e scollegate tra loro nei luoghi di lavoro, nelle città, nei territori è l’altro passo necessario.
Al Pnrr va fatta una radiografia critica profonda; ne va rifiutata la filosofia e l’intento neoliberista di passo in avanti del comando sulla società, di uscita dalla crisi sulla pelle di milioni di persone impoverite, precarizzate e supersfruttate. La logica che sta dietro alla fine del blocco dei licenziamenti e alla precarizzazione ulteriore del mercato del lavoro e delle figure lavorative al suo interno è la stessa che guida, ad esempio, settori della Confindustria a proporre facilitazioni normative e investimenti per l’incenerimento dei rifiuti in impianti industriali come i cementifici o a rilanciare ancora le fonti fossili per i prossimi decenni come transizione ecologica; la violenza che guida settori padronali a imporre forme di sfruttamento semiservile in settori come quello della raccolta agroalimentare è la stessa violenza che sta dietro al maltrattamento industriale degli animali della catena di produzione per il consumo di carne; il cinico calcolo padronale e imprenditoriale sul risparmi economico nell’investire nella sicurezza che sta dietro alle morti nel lavoro è lo stesso che guida i padroni, pubblici e privati, di beni comuni come l’acqua a capitalizzarla in borsa e saccheggiarne le scorte.
Le scadenze dei prossimi giorni e mesi contro i vertici del G20 e la loro riproposizione del modello neoliberista possono rappresentare un momento importante per cominciare a legare insieme le tante pratiche, i tanti conflitti locali, le lotte che si sviluppano nei singoli territori, le tante esperienze e competenze collettive emerse nei conflitti locali e dare un senso comune a questo patrimonio disperso di forze e una prospettiva di ribaltamento radicale dell’attuale sistema di potere economico e politico.
In molte parti del Pianeta in questo ultimo anno si sono messe in movimento esperienze importanti di radicale difesa delle risorse naturali come il grande sciopero di massa dei contadini indiani o le lotte per la difesa dei propri habitat e delle proprie identità dei movimenti indigeni sudamericani e molte di queste esperienze hanno trovato un comune percorso con i movimenti transfemministi e sociali come in Argentina, in Cile, in Perù e in Messico in grado di incidere sulle decisioni dei singoli governi, di orientare gli esiti di alcune elezioni, di determinare cambiamenti positivi anche se ancora fragili.
Non è affatto detto, quindi, che il nostro prossimo destino sia Elysium…potrebbe essere che il funzionamento esclusivo a beneficio dei ricchi e dei privilegiati di quell’habitat sospeso sul Pianeta si inceppi come nel film omonimo e riprenda a funzionare in una modalità radicalmente diversa e condivisibile per tutti noi.