In questi giorni di aprile sono stato a Parigi ed ho avuto l’opportunità di attraversare, incuriosito, un paio di volte Place de la République e di partecipare al corteo dalla Bastiglia a Denfer del 5 aprile – anzi del 26 marzo – e ho piacere a condividere alcune percezioni.
Da subito mi ha colpito il cambio di calendario, ovvero una nuova datazione e organizzazione del proprio tempo a partire dalla imponente manifestazione sotto il diluvio del 31 marzo, organizzata dalle centrali sindacali contro quella specie di jobs act alla francese, ma trasversalmente partecipata come in una convergenza sociale delle lotte: ora non si torna a casa, passiamo la notte in piedi.
Cambiamo le regole del gioco. La notte non è fatta solo per dormire. La legge sul lavoro è l’occasione per dire basta.
No allo stato di emergenza. Di qui non ce ne andiamo. È solo un inizio, dobbiamo allargare e far convergere le lotte.
Riscriviamo la costituzione della repubblica. Non compriamo più nei supermercati ma dai dettaglianti.
Questo è quello che si ascolta nelle piccole e grandi assemblee nella piazza.
Un’affascinante e diretta simbologia. Fermare il tempo del Potere. Come i giacobini hanno cambiato il calendario e i comunardi hanno sparato agli orologi nelle strade.
Subito hanno cercato di sgomberarli con la scusa della mancata autorizzazione, ma subito sono tornati in tanti, con la copertura di Francois Ruffin (autore e regista del film Merci Patron), che ha prenotato la piazza per l’intera settimana e, in pochi giorni, l’esperienza si sta riproducendo in una quarantina di città grandi e piccole, con la disperazione di governo e di una polizia prepotente.
Nella piazza non si avvertono presenze davvero organizzate, si certo, qualche collettivo degli studenti liceali e universitari, i Sans Papiers, collettivi di lavoratori precari e i disoccupati, i collettivi Lgbtq ed ecologisti, i gruppi anti-sfratto e di lotta per la casa, quelli che si battono da tempo contro lo stato d’emergenza, qualche lavoratore o sindacalista di SUD. Ma tutto molto informale, quasi sciatto. Discussione assembleare, decisione e appuntamento alla prossima; ciascuno se ne va col compito di fare i compiti per casa. I sindacatoni non si fanno vedere, se ne guardano bene, stanno alla larga: il popolo di Place de la République è fuori dagli schemi politico sindacali. Anzi di quelli politici proprio non ne possono più, anche di quelli che vagheggiano un Podemos francese e lo gridano pure forte: la loro incazzatura non riempirà le loro urne!
La manifestazione del 36 marzo è stata una manifestazione modesta per Parigi, forse, alla fine, 20.000 partecipanti, più della metà intruppati nella coreografia dei sindacatoni, con camion, mongolfiere e servizio d’ordine; in testa l’insieme eterogeneo del giovane popolo di Place de la République, scompaginato e zizzoso, che in più occasioni si beccato qualche zaffata di spry al peperoncino, ma determinato ad andare per la propria strada. A conclusione della manifestazioni sono partiti piccoli cortei con percorsi esemplificativi delle lotte in corso ma che hanno trovato il passo chiuso dalla polizia, che ha effettuato 140 fermi. A notte fonda, dopo averne discusso a Place de la République, un presidio si è formato davanti al commissariato, dove erano in stato di fermo diversi manifestanti, ed è stato prodotto un blocco stradale che si è protratto per ore, in un continuo tira e molla con la polizia.
La manifestazione di ieri, 40 marzo, mi dicono essere stata partecipata dai sindacatoni e normale per gli eventi collaterali, incidenti sparsi e ripetuti ma molto esigui nella loro dimensione reale. La vera partita si gioca su un altro terreno, in Place de la République, dove molto più che il lavoro è il tempo di vita che sta al centro del campo. Le prossime giornate di marzo saranno utili per capire se quanto avvenuto è stato solo un riuscito pesce d’aprile o l’avvio di un movimento che vuole battere il suo tempo.
Allego, qui di seguito, la traduzione di una intervista a Frédéric Lordon, uno dei referenti dei collettivi di Place de la République, giratami da un compagno in terra di Francia.
Era passata già la mezzanotte di giovedì 31 marzo ma Frédéric Lordon continuava a discutere con un ampio gruppo cittadini che avevano deciso di accamparsi in Place de la République, a Parigi. Quel giorno, dopo la manifestazione di Parigi contro la riforma del lavoro di Hollande e il concerto-proiezione successivo, Lordon fece un discorso che passerà alla storia come l’inizio della “Notte in piedi” (Nuit Debout), il movimento appena nato degli indignati francesi.
“Oggi cambiamo le regole del gioco. Giocavamo con le loro. A partire da adesso, lo facciamo con le nostre”, ha esclamato Lordon davanti a chi lo ascoltava. Tre giorni dopo, domenica 34 marzo, Lordon ha preso di nuovo la parola nella assemblea che si teneva per il terzo giorno consecutivo a République. “Scriviamo la costituzione di una repubblica sociale”, ha detto ai circa 2000 indignati che, quel pomeriggio, si erano concentrati nella piazza della liberté, egalité, fraternité della capitale francese. Lordon, l’economista e sociologo che dirige le ricerche del prestigioso Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) francese, assicura di essere stanco del fatto che provino ad appiccicargli addosso l’etichetta di leader.
Tuttavia, le sue idee alternative e il suo sguardo critico fanno di lui uno degli intellettuali che risvegliano più ammirazione tra le migliaia di francesi che dallo scorso 31 marzo si riuniscono un assemblea – e in molti casi si accampano – a Parigi, Lione, Tolosa, Rennes e altre località francesi ispirate dal 15M spagnolo.
Sei giorni dopo la nascita della Nuit Debout, Frédéric Lordon concede al giornale LaMarea la sua prima intervista. Lordon risponde alle domande via email.
Lei ha detto “noi possiamo fare qualcosa”. Cosa intendeva esattamente? Dove siamo in questo momento?
Esattamente, ho detto proprio così! “Qualcosa”. Esiste una rabbia silenziosa, esasperazioni terribili accumulate da anni, forse decenni, che non hanno per obiettivo reale “il governo” o “i governi” – che tra parentesi hanno attivato tutti politiche rigorosamente identiche – ma un tipo di società ampiamente detestabile. A partire dal film Merci patrón! (Grazie padrone!) di François Ruffin e la Loi Travail, due grandi aggregatori, è avvenuto qualcosa in Place de la République quel giovedì 31 marzo. “Qualcosa”, e noi nemmeno sappiamo che cosa. Lo capiremo. Come si costruirà il movimento, se acquisirà importanza o se tramonterà, quali obiettivi riuscirà a raggiungere… Nessuno lo sa.
Che similitudini e differenze vede tra le persone che si riuniscono a Place de la République e gli indignati che occuparono le piazze spagnole durante il movimento 15M?
Non conosco a sufficienza il movimento spagnolo del 15M e non posso rispondere con precisione a questa domanda.
Ho la sensazione che in Spagna vi fossero due potenti catalizzatori che non abbiamo in Francia: da una parte il debito immobiliare e gli sfratti, dall’altro la corruzione dei politici su larga scala. In Francia la questione sociale, la questione del lavoro e dell’impiego continuano a essere molto importanti. Ma la particolarità del movimento attuale sta precisamente nel fatto che non si limita alle rivendicazioni come quella di assicurare il lavoro o di migliorarne le condizioni, o qualsiasi cosa di questo genere, ma vuole criticare la situazione del lavoro e dei lavoratori in sé. È pertanto una critica al capitalismo.
Lei parla spesso dell’importanza del contatto tra i giovani e le classi lavoratrici. Perché questo contatto è tanto importante?
Perché non esiste movimento sociale forte che non passi da questo collegamento, al quale inoltre sarà decisivo unire la gioventù emarginata delle periferie. Normalmente, tutta la sociologia si oppone a questo incontro. E, infatti, per lungo tempo, le classi lavoratrici sono state massacrate dal capitalismo neoliberale senza che nessuno se ne preoccupasse.
Soprattutto la piccola e media borghesia urbana colta, gli intellettuali precari, eccetera… La Nuit Debout ha come finalità principale di far emergere ciò che tutte le categorie sociali, normalmente distanti l’una dall’altra, hanno fondamentalmente in comune: la propria condizione di salariati! Possiamo aggiungere altre categorie – come gli agricoltori, per esempio – che, nonostante non siano salariati, non subiscono di meno la dinamica complessiva del capitale. È questa dinamica complessiva, esclusa dal dibattito da decenni, quella che ora torna a essere discussa.
Crede che vedremo sorgere un Podemos alla francese tenendo in conto il contesto attuale?
Non credo e aggiungo che, dal canto mio, non lo desidero. Per essere chiaro, mi domando se Podemos non sia una specie di controesempio, il modello di ciò che non dobbiamo fare: tornare al contesto elettorale, alla ri-normalizzazione istituzionale. Tornare al gioco istituzionale è la morte assicurata di tutti i movimenti. Adesso ti domanderai: come trasformare queste riunioni in risultati politici affinché non siano successe invano? È una domanda strategica di prim ordine. La mia risposta per uscire da questa terribile tenaglia è che se tornare al gioco elettorale istituzionale significa la morte, allora non ci rimane altra soluzione che rifare le istituzioni. È per questo che credo che l’obiettivo politico che dobbiamo fissarci, e lo ho detto durante l’Assemblea Generale di domenica, consiste nel riscrivere la costituzione. Senza che ciò diventi un esercizio giuridico formale e lontano dalla strada, come spesso succede. Dobbiamo scrivere la costituzione di una Repubblica Sociale. E al contrario della repubblica attuale, che è nei fatti una repubblica borghese la cui vocazione è sacralizzare il diritto alla proprietà, questa nostra Repubblica dovrebbe avere come missione quella di abolire il principio della proprietà dei mezzi di produzione a fini di lucro e instaurare la proprietà d’uso: i mezzi di produzione non appartengono agli azionisti, ai proprietari, ai capitalisti: devono appartenere a chi si serve di questi ultimi, oltre le finalità speculative.
Qual è il suo ruolo nel cambiamento sociale che sembra stia vivendo la Francia?
Non faccio niente altro che portare il mio contributo dentro la divisione del lavoro politico, con alcuni mezzi che sono i miei, quelli dell’intervento intellettuale, niente di piú, niente di meno. Questo movimento non ha leader e poi mettermi a capo del movimento è l’ultima cosa di cui ho voglia! Sembra che alcuni dei miei interventi abbiano prodotto l’effetto di definire un po’ il movimento, ed è grandioso. Però, ciò che mi riguarda arriva fino a qui. D’altra parte, i movimenti come il nostro, e giustamente, respingono i tentativi di cattura individuale e di personificazione delle dinamiche collettive. Se qualcuno avesse l’idea assurda di proclamarsi “leader”, verrebbe rispedito ai suoi amati studi! Ma i mezzi di comunicazione sono incapaci di capire cose come questa e si ossessionano con l’“incarnazione”, le “figure rappresentative”, i “leader” e tutto questo repertorio di filosofia individualista ed eroica della storia. E quando non trovano quello che cercano a tutti i costi, se lo inventano! È per lo stesso motivo che rifiuto sistematicamente tutti gli inviti dei mezzi di comunicazione a esprimermi, tutte le richieste di ottenere un mio “ritratto”. Non smetto di vedere articoli che mi presentano come una “figura” eminente, per personalizzare il non personalizzabile. È un po’ deprimente.
In Francia e nel resto del mondo è in atto una lotta tra solidarietà e paura. Lei è piuttosto ottimista o pessimista, nel breve e lungo periodo, rispetto al cambiamento sociale in Francia?
Come rispondere a questa domanda… Non ho la più minima idea di ciò che succederà. Tuttavia, non posso evitare di pensare che il capitalismo neoliberale ha maltrattato così profondamente il corpo sociale che non può non accadere, da un momento all’altro, una reazione violenta. È arrivato questo momento? O il movimento si incaglierà? Non lo so.
Quello di cui sono sicuro è che, anche se apparentemente finirà, in realtà non avrà fallito, perchè avrà seminato qualcosa nelle menti delle persone. E questo “qualcosa” prima o poi riaffiorerà.
La legge El Khomri ha suscitato l’indignazione di una gran parte della popolazione francese. Se il governo la ritira, crede che questa indignazione si sgonfierà?
Questa è la grande sfida del nostro movimento. Non è un movimento rivendicativo, questa è la grande novità. Non rivendichiamo il ritiro della legge El Khomri. In fin dei conti, questa legge non ci interessa! Questa legge è stata il detonatore di molte altre cose, assai più fondamentali. Anche se ritirassero la legge, anche se il governo si dimettesse, noi rimarremo, perchè ciò a cui aspiriamo va oltre: non vogliamo rivendicare più, ma affermare. Affermare nuove forme di lavoro e nuove forme di politica.
Traduzione di Dario Lovaglio
Il testo originale in spagnolo di questa intervista è apparso su LaMarea, 6 aprile 2016