Note intorno alle lotte delle lavoratici delle pulizie e la necessità di combattere il lavoro povero
JUSTICE FOR CLEANERS / Non lasciamole sole! Così recitava lo striscione esposto nel presidio pubblico al Comune di Bologna lunedì 11 Novembre, durante il quale, con moci alla mano, abbiamo ancora una volta chiesto GIUSTIZIA per i lavoratrici ed i lavoratori delle pulizie e dei servizi che lavorano negli appalti pubblici.
A partire da Lucky e Myla, due lavoratrici in appalto per il Comune di Bologna, licenziate dal colosso Rekeep, anche se non hanno fatto nulla di sbagliato. La prima si è ammalata mentre si trovava in ferie in Bangladesh, quando è scoppiata la guerra civile della scorsa estate, e nonostante l’instabilità del Paese è riuscita a certificare tutto regolarmente. La seconda dopo anni lontana dal Paese di origine ha usufruito di un periodo di ferie, improrogabile a causa della perdita di un familiare. Due donne, di origine straniera, che per molto tempo non si sono potute allontanare dal lavoro (peraltro spesso insufficiente per vivere) a causa di minacce e ricatti di responsabili e superiori. E quando l’hanno fatto l’azienda le ha punite, per questo e per essersi rivolte al sindacato.
Storie che non devono più rimanere invisibili ma devo emergere perché parlano di tantx e a tuttx. Storie che incontriamo in molti altri luoghi, come il Policlinico Sant’Orsola o l’Ospedale Maggiore, ancora servizi pubblici ma esternalizzati, considerati “minori” solo per essere meno rispettati e più sfruttati e ricattati.
Parliamo di chi quotidianamente pulisce, smaltisce rifiuti, rende funzionali ed accoglienti luoghi fondamentali della città: biblioteche come la Sala Borsa, musei come l’Archiginnasio, l’Università, la sede stessa del Comune a Palazzo d’Accursio; oppure gli uffici Agenzia regionale per il diritto allo studio (ER.GO), e gli ospedali della città, appunto.
Luoghi nevralgici di quella che è una città in rapido sviluppo, che offre opportunità, ma che in quanto a chi rende sta alla base di questo sviluppo e che ne permette il funzionamento offre ben poco.
Lavoratrici e lavoratori che con il loro lavoro rendono accessibili per tutti i cittadini servizi essenziali, in luoghi attraversati e vissuti da centinaia se non migliaia di persone ogni giorno, ma che di fronte a questo ruolo fondamentale ricevono una miseria come stipendio e la paura di perdere il lavoro se provano a richiedere i propri diritti.
Non è un caso allora che in quasi tutti questi servizi vige il combinato tra meccanismo dell’appalto e applicazione del famigerato contratto “multiservizi”: paghe tra i 5 e i 6 euro netti all’ora, senza alcuna indennità integrativa (come mensa o buoni-pasto), miseri riconoscimenti di anzianità, una bassissima possibilità di avanzamento di carriera e una vita a metà, sempre in rincorsa, a causa dell’abuso di part-time involontario che costringono spesso e volentieri al doppio lavoro. Di pari passo le pessime condizioni psico-fisiche in cui versano le dipendenti, con stress e ansia come vere e proprie patologie correlate al lavoro e alla paura di non riuscire ad arrivare a fine del mese per colpa dei salari di merda, o l’aggravamento di patologie fisiche per il lavoro usurante, i carichi di lavoro e i ritmi di vita infernali.
Gli esecutori di questo sistema degli appalti e della precarietà sono società come Rekeep, Coopservice, Dussman, solo per fare alcuni nomi, veri e propri colossi del settore che macinano miliardi di euro (di soldi pubblici, cioè di tutte e tutti noi!), restituendo lavoro povero e insicuro per decine di migliaia di persone.
Serve urgentemente dunque, come stiamo provando a fare da qualche tempo, costruire percorsi di organizzazione e di lotta contro queste condizioni di lavoro e di vita inaccettabili, a partire da quelle negli appalti pubblici della città di Bologna.
Dall’altra parte, però, chi siede nelle istituzioni pubbliche, che spesso sono le committenze di questi appalti al ribasso (Comuni, Regioni, ma anche Aziende Sanitarie, Università, Agenzie statali, etc.), non può più girarsi dall’altra parte di fronte alla realtà di questi stessi appalti, che generano povertà diffusa e insicurezza sociale. Al contrario deve trovare il coraggio e la volontà politica di aprirsi a queste richieste di giustizia sul terreno dei diritti e del salario.
Anche come risposta al naufragio delle possibilità di istituire un salario minimo legale a livello nazionale, di fronte a questa realtà crescente dei working poors, in alcune altre città, come Firenze o Napoli, più o meno in maniera efficace si prova a produrre delibere e scelte amministrative per regolamentare alcuni appalti pubblici stabilendo una paga base più dignitosa in alcuni appalti, e chiedendo ad esempio di applicare CCNL di settore con paghe base orarie non inferiori ai 9€ all’ora. Dei tentativi, certo, non una panacea o una scorciatoia, ma segnali positivi di controtendenza e di possibile apertura di spazi di agibilità e di esemplarità che possono fornire a loro volta spunto per dinamiche di organizzazione e rivendicazione.
Come un recente Convegno organizzato dalla rete intersindacale ha discusso del salario minimo “oltre gli slogan”, serve allora concretizzare campagne e percorsi che siano in grado di agire a vari livelli per rispondere a questo imperativo.
Per far uscire dall’invisibilità migliaia di addetti/e che vivono sulla propria pelle sfruttamento e razzializzazione. Per rivendicare per chi pulisce, sanifica, rende possibile le attività in ospedali, scuole, biblioteche, uffici pubblici un salario dignitoso, la fine del lavoro povero, sicurezza, salute e benessere. Affinché in tutti i servizi pubblici ci sia controllo e tutela per la salute psico-fisica, per ridurre al minimo la possibilità di contrarre malattie professionali, con più controlli, visite mediche e radicale riduzione dei carichi di lavoro.
Justice for cleaners – e per tutti coloro che lavorano nei servizi pubblici e non solo – perché queste lavoratrici sono sì tra le più sfruttate e ricattabili, ma sono anche essenziali allo sviluppo e alla vita collettive. E per questo devono avere giustizia, dignità e salario.
ADL Cobas – Bologna