LA LOTTA DEI FACCHINI DI VIADANA – UNA STORIA DI TUTTI
da ARTICOLOZERO – Spazio Sociale La Boje! (Mantova)
Hanno bloccato i cancelli della Composad per oltre sei giorni in modo continuativo. Tir bloccati giorno e notte e produzione ferma. Erano anni che una lotta operaia non irrompeva nello scenario dell’inesorabile declino del manifatturiero nella nostra provincia (Mantova, ndr) facendo emergere il protagonismo di chi la crisi la subisce.
Composad è un’azienda della multinazionale del truciolare Gruppo Saviola che si estende in diversi stabilimenti nel Viadanese e non solo. La maggior parte dei dipendenti sono stati scorporati dall’azienda e appaltati a diverse cooperative, così che le responsabilità salariali e di diritti della forza lavoro non potessero ricadere sotto diretta responsabilità aziendale. Ma fin qua nulla di nuovo, in fin dei conti la legge Treu che introdusse la possibilità di affittare forza lavoro aveva esattamente questa funzione.
Succede che i lavoratori delle cooperative hanno rivendicato il diritto di lavorare sotto le tutele e con le paghe del CCNL di categoria, al pari dei loro altri colleghi che svolgono lo stesso lavoro, invece di essere codici usa e getta in mano a speculatoti di manodopera. A portare avanti tale istanza si incarica una piccola ma combattiva organizzazione sindacale, ADL Cobas che dopo innumerevoli richieste di trattare con l’azienda e altrettanti puntuali dinieghi decide di alzare il livello del conflitto e di bloccare i cancelli della Composad. Perché nessun incontro è stato possibile? Semplicemente perché ADL Cobas, nonostante il vero consenso e l’ adesione tra i lavoratori, non fa parte di una delle sigle stipulanti il CCNL di categoria. Andrebbe specificato, per onor di cronaca che Cgil-Cisl e Uil hanno riscritto alcuni anni fa, insieme alle parti padronali, dopo le incalzanti lotte degli autoferrotramvieri e del sindacalismo di base, le leggi sulla rappresentanza, auto-legittimandosi a essere sindacati unici e rappresentativi dei lavoratori in quanto parti stipulanti dei CCNL. La stessa cosa, in sostanza, che nei metalmeccanici hanno fatto Fim e Uilm a danni della Fiom. Una trappola per i lavoratori confezionata nel 1994 e con varie riscritture fino al 2014 ha garantito alle sigle confederali di poter avere addirittura il 33% della rappresentanza d’ufficio anche se non hanno alcun iscritto tra i lavoratori.
Oggi (2 fabbraio, ndr) il presidente del gruppo Saviola ha dichiarato la chiusura dello stabilimento e la messa in CIG a zero ore per i dipendenti delle cooperative, additando le responsabilità delle mancate commesse ai blocchi dei camion. Ora le parole vanno anche pesate. Per richiedere anche solo la CIG occorre presentare un bilancio che evidenzi come la crisi abbia determinato le condizioni di mancanza di commesse (ma non pare il caso dal momento che lo stesso presidente lamenta l’ammanco economico determinato dai blocchi) e ancora di più per dichiarare una chiusura di stabilimento o un istanza di fallimento occorre portare i libri contabili in tribunale. Il tutto per non voler aprire un tavolo di trattativa con le parti per il rispetto del CCNL e sulle trattative di secondo livello.
Diversamente è una lotta che si ripropone in termini ottocenteschi, in cui l’arroganza padronale, pur di non riconoscere quanto legittimamente sostenuto dai lavoratori minaccia la chiusura per rappresaglia, che pare abbia intenzione di seguire il consiglio di qualche affermato azzeccagarbugli, per chiudere lo stabilimento di Composad, magari trasferire la produzione in un altro stabilimento limitrofo del gruppo Saviola e punire gli “schiavi” che si sono ribellati.
Già lo scorso anno di fronte ad un’altra cooperativa che era scesa in picchetto contro le condizioni di sfruttamento interno, si era registrato a Viadana il riconoscimento delle tredicesime nelle buste paga dei lavoratori delle aziende confinanti, per paura che nascessero altri focolai. Che la lotta paghi lo sappiamo bene, e questa è una vera che parla di tutte noi e di tutti noi.
L’importante è scegliere da che parte stare.
di Favilla – CommuniaMantova
LA LOTTA DEI FACCHINI DI VIADANA
Il tema delle condizioni di lavoro (salari, rispetto del contratto, ritmi, turni, sicurezza, regole previdenziali e assistenziali) di quanti operano nel mondo degli appalti (e delle cooperative inserite in queste catene) è diventato ormai cronaca quotidiana con le notizie delle tante vertenze che i lavoratori del settore stanno sostenendo.
Si tratta, in particolare, del settore della logistica (operazione di imballaggio, stoccaggio, magazzino, spedizioni): uno degli anelli più deboli delle attuali catene produttive sempre più frammentate e segmentate dal punto di vista del ciclo produttivo e delle condizioni contrattuali e normative dei lavoratori. Sono moltissime, infatti, le catene produttive che si concludono con il reparto logistico interamente esternalizzato e affidato ad imprese terze, spesso cooperative, dove vengono derogati i contratti o violate le previsioni degli stessi determinando pesanti danni ai lavoratori del settore. Le ditte committenti, infatti, per abbassare i costi tendono a comprimere il più possibile i costi degli appalti; mentre le aziende che si aggiudicano questi appalti per di continuare a stare sul mercato accettano qualsiasi condizione al “ribasso”. Si tratta di un meccanismo perverso nel quale, ad essere stritolati, sono i diritti dei lavoratori.
L’attuale vertenza dei lavoratori della cooperativa Facchini di Viadana, che chiedono semplicemente l’applicazione del CCNL di categoria e il rispetto delle condizioni salariali e normative in esso previste, si inserisce in questo quadro. La cooperativa Facchini Viadana svolge attività di logistica su committenza della Composad s.r.l., una impresa del gruppo Saviola holding, che realizza mobili in kit e che vanta tra i propri clienti anche il colosso Ikea. I problemi per i lavoratori della cooperativa, in larga parte stranieri, cominciano anni fa, quantomeno dal settembre 2011, quando una assemblea della cooperativa stessa delibera una serie di misure, presentate come sacrifici necessari per salvare la cooperativa stessa, che intervengono in maniera pesante sui salari dei lavoratori. Le difficoltà economiche della cooperativa venivano presentate come dovute ai rapporti commerciali in essere con i vari cantieri presso i quali operava (tra i quali quello della Composad); di conseguenza venivano così approvare misure che bloccavano la paga base al minimo tabellare del 2010, che riducevano al 70% il pagamento di molti istituti contrattuali (13^ mensilità, ferie, TFR), sospensione della 14^ mensilità, dei permessi delle ex festività, del pagamento delle festività. Soltanto qualche mese dopo, nel gennaio 2012, sempre per far fronte alle perduranti difficoltà economiche, la cooperativa chiedeva un ulteriore sacrificio pari alla trattenuta del 2,5% sullo stipendio lordo dei soci lavoratori. Il danno provocato ai lavoratori è stato gravissimo: nell’arco di 5 anni ci sono persone che con queste riduzioni salariali hanno subito perdite superiori ai 25mila euro.
La situazione si sblocca nel novembre 2015 quando l’ADL Cobas chiede l’apertura di un tavolo con la partecipazione sia della cooperativa che della ditta committente (senza risposta da quest’ultima). A seguito di uno sciopero proclamato il 9 dicembre, si perviene alla sottoscrizione di un accordo tra cooperativa e ADL Cobas che prevedeva l’applicazione integrale del CCNL logistica; la corresponsione della paga base e di tutti gli istituti contrattuali così come previsti dal CCNL, il ripristino integrale di 13^ e 14^ mensilità; la definizione dell’orario di lavoro settimanale e mensile e le modalità di pagamento del lavoro straordinario, notturno ecc, l’abolizione delle trattenute e la correttezza dell’inquadramento. La portata delle misure concordate da questo accordo (17/12/2015) la dice lunga sulle violazioni contrattuali e normative a cui erano soggetti i lavoratori della cooperativa Facchini di Viadana; in esso, inoltre, si prevede anche il riconoscimento dei diritti sindacali per tutte le organizzazioni sindacali.
Questo punto per noi è importante: la rappresentatività di un sindacato non dipende dal fatto se ha firmato o meno un CCNL, ma dal numero di adesioni e di consenso che riscuote tra i lavoratori (come stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale nel caso Fiat-Fiom).
Dopo una lotta particolarmente dura, esplosa nel gennaio 2016, con otto giorni di sciopero e presidio dei cancelli, finalmente si apre un tavolo presso la Prefettura di Mantova, ma il tutto rischia di saltare a causa di una vera e propria “serrata” della Composad: a fronte del blocco della spedizione delle merci, l’azienda del gruppo Saviola dichiara di non poter procedere con la produzione e ottiene un accordo sindacale (senza il coinvolgimento di ADL Cobas) per mettere in Cigs gli operai addetti al montaggio dei mobili. Il tentativo, esplicito, è quello di mettere gli operai della Composad contro i facchini della cooperativa; tentativo fortunatamente fallito.
Con l’apertura del tavolo la posizione di Sinistra italiana di Mantova è chiarissima: va applicato integralmente il protocollo d’intesa, stipulato in prefettura nel giugno scorso, per l’affidamento di lavori e servizi, noto come “protocollo appalti”. In esso si prevede che committenti e imprese affidatarie degli appalti applichino le leggi e i contratti nazionali di lavoro; che i committenti, quale corrispettivo economico degli appalti, si impegnano a riconoscere risorse economiche necessarie per garantire i livelli salariali e le prestazioni previdenziali e assistenziali previste dai CCNL; stabilisce regole precise in materia di sicurezza sul lavoro e sui contributi da versare a favore dei lavoratori. Insomma: un insieme di regole che rappresentano l’esatto contrario di quanto avveniva nell’appalto Composad con la cooperativa Facchini di Viadana.
Per ottenerne l’applicazione è necessario, quindi, che la Prefettura si faccia carico di garantire un tavolo di confronto con la presenza di tutte le parti sociali e delle due aziende coinvolte (Composad, la committente e la cooperativa Facchini, affidataria dell’appalto). Solo così si potranno costruire le condizioni per un accordo, prefigurando al tempo stesso un modello di contrattazione e confronto sindacale realmente “inclusivi”, cioè in grado di superare quelle frammentazioni (che spesso diventano contrapposizioni) tra lavoratori indotte da una particolare organizzazione del ciclo produttivo. Si tratta anche di applicare la cosiddetta “responsabilità in solido” tra committente e ditta in appalto, per contribuire a superare quelle pratiche di “scaricabarile” che avvengono tra queste due tipologie di aziende e che hanno come unico risultato quello di scaricare la compressione dei costi degli appalti sui lavoratori del settore.
di Matteo Gaddi