In questi giorni rimbalzano sui media notizie sui movimenti al vertice di Open AI, la casa madre di ChatGPT, quell’insieme di algoritmi che è stato chiamato Intelligenza Artificiale Generativa. Il ceo Sam Altman è stato defenestrato dal board di OpenAI, immediatamente reclutato da Microsoft, che è anche tra i principali azionisti di OpenAi, con un seguito di uno stuolo di programmatori, pronti a sviluppare un clone di ChatGPT proprietario per Microsoft. Nel frattempo Amazon ha incrementato il suo pacchetto azionario in OpenAI, seguita da altre aziende High Tech. Infine, per il momento, abbiamo un ritorno di Sam Altman e il suo staff dentro la casa madre.
Questo sommovimento – approssimativamente descritto – nel cuore e nel cervello del progetto sull’Intelligenza Artificiale Generativa ci segnala come gli interessi per lo sviluppo economico e strategico di questa tecnologia innovativa siano di grande potenzialità. Tanto da trasformare in una lotta senza esclusione di colpi la corsa all’accaparramento del ‘core business’ del nuovo salto tecnologico che si prospetta. Sul tema qui di seguito pubblichiamo un ampio stralcio di un contributo di Beppi Zambon per il prossimo congresso ADLcobas.
PRODUZIONE CAPITALISTICA & INTELLIGENZA ARTIFICIALE.
E’ entrato in vigore il 1 novembre 2022 il “Digital services act” (Dsa), ovvero la legge dell’Unione europea sui mercati digitali. Il nuovo regolamento vorrebbe porre fine alle pratiche sleali delle imprese che operano da gatekeeper nell’economia delle piattaforme online. Questa legge definisce le situazioni in cui una piattaforma online di grandi dimensioni è un “gatekeeper”, una portineria. Si tratta di piattaforme digitali che fungono da importante punto di accesso tra utenti commerciali e consumatori e godono di una posizione da cui poter dettare le regole e creare una strozzatura, il tutto finalizzato alla propria egemonia nell’economia digitale: in teoria è il ‘libero’ mercato che si intende tutelare. Nel mirino legislativo dell’UE si intravedono le ‘Big Five’ che non sono le vecchie multinazionali del petrolio di antica memoria, bensì nuove Big Company, ovvero le imprese transnazionali del capitalismo delle piattaforme: Amazon, Apple, eBuy, Google, LinkedIn, Meta, Tencent, Upwork, X e via elencando. Per regolamentare i mercati digitali la legge UE tenta di definire una serie di obblighi per “queste portinerie”, fra cui il divieto di determinati comportamenti, uno dei quali è la raccolta occulta dei dati utenti e la loro profilazione.
Noi siamo consapevoli che la definizione di norme, sia che regolamentino i comportamenti sociali sia quelli del mercato, non fanno altro che registrare un fenomeno che già si è dato, che già è presente nella materialità della vita collettiva.
Così è pure per questa legge dell’UE, con l’ulteriore ‘difetto’ che pretende di regolamentare territorialmente (in Europa) una trasformazione economico-produttiva transnazionale che avviene nel nuovo empireo ovvero nel web, nelle sue nuvole (il cloud).
Questa affannata rincorsa normativa, peraltro presente solo in alcune aree geopolitiche (Cina, UE, USA), è tanto più evidente in relazione alle ricadute economiche, sociali e politiche delle potenzialità trasformative dell’Intelligenza Artificiale (IA): la recente ricerca del Consiglio dell’Unione Europea “ChatGPT nel settore pubblico: sovradimensionato o trascurato?” sottolinea che ChatGPT – e strumenti simili – entreranno a far parte dei flussi quotidiani di lavoro, e questa tendenza interesserà le istituzioni pubbliche e tutto il lavoro amministrativo. Fornendo servizi che sono strumentali all’efficace funzionamento dello Stato e che incidono sui diritti e sui doveri dei cittadini, il settore pubblico è particolarmente sensibile all’introduzione di tali tecnologie basate sull’intelligenza artificiale /AI). Ad oggi una disciplina normativa ancora non esiste: a prevederla sarà il prossimo regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (l’AI Act) che dopo aver ottenuto il via libera del Parlamento Ue a metà giugno ‘23, deve ora essere messo a punto in via definitiva per poi essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della UE a inizio 2024.
Abbiamo posto l’accento su questi aspetti legislativi proprio perché con essi si registra una trasformazione che è, contestualmente, rilevante per tutt*, tanto sul piano economico quanto su quello sociale, avviluppando l’insieme delle relazioni che insistono sul nostro modo di vivere. Aldilà della globalizzazione del modo di produzione capitalistico e del mercato delle merci, su cui esiste una amplissima letteratura e su cui torneremo più avanti, ci preme, ora, una considerazione: ogni attività umana, dentro il capitalismo delle piattaforme, è trasformata in merce, in valore di scambio.
L’estrattivismo del capitale non deve essere visto e considerato solo come la rapina delle risorse naturali, come troppo spesso avviene, ma esteso all’insieme quotidiano delle attività umane, fisiche e cognitive, dal zappare la terra al postare un video su facebook o tik-tok, dal lavoro domestico allo studio, privato o pubblico che sia.
Una porzione sempre crescente di questa messa in produzione di ogni attività umana, di ciascuna vita, tutta questa quantità/qualità di lavoro è divenuta invisibile, incommensurabile e quando non lo è, viene oscurata, nascosta, atomizzata.
Quanto lavoro di cura, quanto ‘smart work’ viene svolto nelle nostre case, quanti lavoratori a cottimo online, quanti sono inghiottiti nel ‘buco nero’ dei lavori individualizzati, perdendo loro stessi la cognizione di essere forza lavoro in produzione e rischiano di venire estromessi – non considerati in quanto lavoratori – anche dal comune immaginario sociale. Ordinare una pizza col telefonino o il farci consegnare gli acquisti dai pony express rischiano di far passare l’idea che dietro le interfacce accattivanti del consumo online non ci sia lavoro umano, quasi che a recapitarci il tutto fossero algoritmi e robot, quasi fossero estensioni meccaniche dei nostri dispositivi senza fili e non persone in carne ossa, lavoratori. Lavoro che molto spesso, oltre che reso invisibile o oscurato, è privo di regole, tutele, diritti, equo riconoscimento economico, privo, quasi sempre, di organizzazione sindacale o di autorganizzazione.
Lavoro in nero, lavoro schiavistico che ha prodotto e produce enormi profitti per i padroni del ‘nuovo vapore’, tanto è vero che questi nuovi colossi, basati su internet e le nuove tecnologie informatiche, muovono miliardi e, ora, sono in grado di aprire la concorrenza con gli Stati nella corsa allo spazio. Molti di questi hanno iniziato la loro attività in qualche garage o in qualche biblioteca universitaria: quanto ci hanno rubato, quanto ci hanno sfruttato? E noi ad ogni cookie continuiamo a incrementare il loro patrimonio.
Questa è solo una sfaccettatura del prisma del Capitalismo globale, probabilmente quella rifrazione che produce maggior valorizzazione ed accumulazione e che impone le condizioni, i tempi e i metodi del moderno processo produttivo. L’apoteosi del ‘just in time’ e della flessibilità-disponibilità ad erogare attività lavorativa, poco importa se è fisica o mentale. E’ emblematico, per ricordare la pervasività degli algoritmi nelle attività lavorative, l’allarme suscitato da OpenAI sia tra gli erogatori di servizi pubblici e privati che nel mondo industriale, tanto che sia Biden (e la UE) che Elon Musk hanno chiesto una moratoria per poter valutare l’impatto economico e sociale di una sua introduzione incontrollata centralmente.