Recentemente alla MacSped, un grande magazzino della logistica del Basso Piemonte l’ADLcobas, con la rappresentanza sindacale aziendale, dopo un intenso percorso di lotta, ha portato a casa un accordo sindacale aziendale di grande valore sociale oltre che contrattuale. Un accordo da assumere come riferimento per poterlo estendere a tutto il comparto, un comparto dove una grande parte degli occupati è di origine straniera.
L’accordo prevede la strutturazione di un corso di 2 ore settimanali retribuite, nel caso di specie fino a 200 ore annue per 15 lavoratori, per ottenere una alfabetizzazione di base della lingua italiana. Il corso sarà gestito dalla Scuola Popolare dell’ADL, con un proprio insegnante volontario, mentre i materiali didattici e il luogo fisico saranno messi a disposizione dall’azienda. L’accordo fa riferimento alla normativa vigente prevista dalla L.300/70 e dall’art.22 del ccnl di settore.
Pensiamo che a nessuno sfugga il portato di un simile accordo che, oltre a ridurre il monte ore di lavoro per un gruppo consistente di lavoratori, rianima la potenzialità sociale dei “corsi delle 150 ore” in un settore dove fino a ieri erano negati i più basilari diritti, dove il lavoro era svolto in regime di semi-schiavitù.
É un valore aggiunto per i lavoratori migranti che, dopo essere arrivati nel nostro Paese nei mille modi che solo loro conoscono, con le sofferenze che portano incise sulla pelle e nella mente, sono abbandonati dalle Istituzioni e, spesso, solo grazie al lavoro di supplenza delle associazioni di volontariato, riescono ad apprendere i rudimenti della lingua italiana. Una vergogna tutta italiana che dura da oltre 30 anni, dalla legge Martelli a oggi.
Agli albori del movimento operaio e sindacale il tema della ‘cultura’, della ’conoscenza’ e dell’istruzione, è stato posto al centro della prospettiva di organizzazione dei lavoratori: nelle società di mutuo soccorso, nelle case del popolo, nelle camere del lavoro a cavallo tra ‘800 e ‘900 si formavano, si acculturavano operai, contadini e popolani. Lo stesso Gramsci ha dedicato molte pagine dei suoi scritti alla necessità di costruire “conoscenza e cultura operaia*”. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti: la volontà di emancipazione delle classi sociali subalterne contenuto nel desiderio di impadronirsi della cultura è stata lungamente conculcata, bisognerà aspettare il secondo dopo guerra perché si dia un percorso istituzionale – seppur fortemente classista – di scolarità generale, introducendo l’obbligo scolastico. Solo il movimento studentesco del 1968 e quello operaio tra il 1969 e il 1978 giungerà a mettere radicalmente in discussione il controllo della conoscenza, del sapere, dell’istruzione e della formazione trasformandoli in strumenti di insubordinazione e di cambiamento sociale.
Lo Statuto dei Lavoratori (L.300/70), registra anche questo aspetto della complessiva offensiva operaia e sociale di quegli anni e fissa nell’articolo 10 il diritto allo studio per i lavoratori con la possibilità di fruire di permessi giornalieri retribuiti. E’ un grande salto di qualità, che viene recepito e allargato nel contratto nazionale dei metalmeccanici del marzo 1973 con quelle che saranno e sono le cosìdette 150 ore. Agli operai metalmeccanici, per primi, fu così garantita per l’anno scolastico 1973-1974 la possibilità di usufruire di 150 ore totali di permessi, distribuite nell’arco di un triennio, ma spendibili anche in un lasso di tempo più breve, per perfezionare la propria educazione in corsi che avessero una durata complessiva almeno doppia. I corsi che vennero istituiti appositamente da Sindacati, Regioni, Enti locali e Ministero della Pubblica Istruzione. Non necessariamente erano finalizzati ad una formazione di tipo scolastico o professionale anzi molto spesso diventavano corsi di approfondimento di tematiche sociali o di lotta: dall’inflazione al welfare state, dal Vietnam al ‘socialismo reale’ nei Paesi dell’Est europeo e in Cina.
Famosi e importanti furono i corsi svolti all’Alfa Romeo e nelle grandi fabbriche del milanese, con il sostegno della Fim, in cui si formarono sindacalmente e politicamente moltissimi operai che negli anni successivi andarono a promuovere il sindacalismo di base, il sindacalismo autonomo, che sono stati i protagonisti del conflitto di classe negli anni a cavallo tra la fine e l’inizio del nuovo secolo.
Questa conquista, questi corsi hanno rappresentato sia il desiderio soggettivo di emancipazione culturale sia la rottura oggettiva della gerarchia di fabbrica e nella società tra lavoro manuale e quello intellettuale in direzione di una democratizzazione e collettivizzazione del sapere, fino ad allora puro strumento di comando nei luoghi di lavoro e nella società.
Quella stagione di lotta e di conquiste è stata arginata e sconfitta, con essa anche i corsi delle 150 ore sono stati spenti: la loro diffusione non si è allargata nelle piccole e medie aziende, nei vari comparti della produzione. Sono diventate, nel corso del tempo sia nel Pubblico che nel Privato, solo uno strumento – spesso osteggiato – per portare a compimento percorsi di studio già avviati.
Ecco che – oggi più che mai – l’accordo raggiunto dall’ADLcobas di Alessandria, sicuramente perfettibile, apre una porta importante nella contrattazione aziendale per la conquista di una reale e materiale dignità nei luoghi di lavoro.
*“Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini.” Antonio Gramsci – QdC