Sono passati oltre 10 giorni dall’alluvione eccezionale che ha portato nella Romagna allagamente devastanti e nell’Emilia ad un vero e proprio smottamento di colline e boschi. Le conseguenze delle piogge dei giorni scorsi hanno messo in moto una grandissima risposta di solidarietà alle persone colpite, ma anche tanta rabbia. Perché, seppur rappresentano un fenomeno eccezionale, evidenziano come causa oggettiva una fragilità non solo idrogeologica, data dall’incessante consumo di suolo volto per lo più al profitto di grandi privati, ma alla luce delle conseguenze che cominciano ad emergere anche e perdipiù la fragilità delle strutture del welfare state e del lavoro che ormai è sempre più consolidato su sfruttamento e lavoro povero e precario. Nel territorio della Romagna, uno di quelli maggiormente colpiti, la maggior parte dell’economia gira suo settori turistico e agricolo, e che sono proprio quelli da cui maggiormente si urla contro misure come il reddito di cittadinanza o il salario minimo. Un sistema nella quale è normale dover lavorare 12 ore al giorno, dove se richiedi i propri diritti, una paga dignitosa, dei riposi settimanali, si va incontro alla minaccia concreta di perdere il lavoro senza alcun tipo di garanzie.
Perché se in questi giorni vediamo e tocchiamo con mano l’emergenza, sappiamo che questa non colpisce tuttx allo stesso modo.
Ad oggi quali sono le garanzie che lo Stato sta dando alle lavoratrici e ai lavoratori, abitanti, precarie e precari di questi territori? Si limiterà ad una Cassa integrazione in deroga per un massimo di 90 giorni, che come il periodo COVID ci ha insegnato, significa avere poco più del 60% dello stipendio già eroso da più di un anno di inflazione che in Emilia-Romagna ha toccato punte del 12/13%? Al semplice RINVIO del pagamento di bollette, di affitti, di mutui, per case che ad oggi sono inabitabili, rate per auto, elettrodomestici o macchinari (se a qualcuna è rimasta), tassazioni varie?
Che ne sarà di coloro che occupano le tante posizioni lavorative precarie o addirittura in nero che da un momento all’altro sono state cancellate?Come potranno accedere agli indennizzi e sostegni quei determinati soggetti, per esempio i cittadini migranti, che saranno esclusi a causa dell’adozione di meccanismi che rischiano seriamente di essere discriminanti, come quello del possesso della residenza anagrafica?
Queste non sono le risposte che il popolo dell’Emilia Romagna chiede e soprattutto non è quello che serve.
Serve essere lì ora, come stiamo facendo ormai da una settimana, insieme a tante e tanti, a togliere il fango dalle case delle persone per provare almeno a salvare i muri, dato che spesso tutto il resto non c’è più. Anche per questo serve smettere di sfruttare suolo in maniera costante, tenendo conto del cambiamento climatico in cui ormai da anni viviamo, e che sta accelerando sempre di più.
Serve una messa in sicurezza rapida e all’altezza degli immensi danni procurati dall’alluvione.
In questi giorni abbiamo visto con i nostri occhi che territori come quelli di Forlì, dove siamo presenti con una sede sindacale che è stata riferimento per oltre 250 volontarix, sono ancora in piena emergenza, con fango nelle cantine, case da pulire, mezzi che mancano.
Alla straordinaria mobilitizione dal basso, le risposte istituzionali sono state contraddittorie e in certa misura tese a disincentivare i gruppi volontari senza però creare un migliore coordinamento e una mappatura seria. Sono ancora tantissime le segnalazioni di cantine piene in attesa di idrovore e autospurghi, tempi di attesa che si prolungano senza avere risposte. Così chi può si paga l’autospurgo da solo, chi non può é lasciato a se stesso. Come nel un caseggiato ACER di Corso Garibaldi 319, dirimpetto alla nostra sede a Forlì. Qui ci stiamo organizzando per la ricostruzione ed è qui che abbiamo fatto una grossa assemblea per organizzarci per i prossimi giorni e settimane. Per continuare a lavorare non solo per togliere il fango, ma per costruire insieme un intervento sociale e politico che non rivendichi la semplice rimozione delle conseguenze più evidenti di quanti successo, ma che faccia emergere diritti sommersi anche prima dell’alluvione.
Ecco perché serve subito la cancellazione, non la sospensione, di bollette, mutui, affitti, ipoteche, tasse e serve l’immediato pagamento di ristori, risarcimenti e di reddito intero, il tutto magari pagato da chi in questi anni ha continuato a sfruttare uomo e natura, da chi ha continuato ad alimentare il cambiamento climatico continuando ad utilizzare ed alimentare il consumo di carburante fossile. Serve il mantenimento di tutti i contratti di lavoro e la regolarizzazione di quelli sommersi, serve un reddito universale per tutte e tutti, che dia sicurezze anche in momenti di emergenza eccezionale, che vada a ridurre quella forbice di disuguaglianze che ormai si sta facendo sempre più forte.
Libero accesso ai servizi di cura sociale e sanitaria, di corpo e mente, diritto all’abitare degno e un reddito per tutte e tutti senza discriminazioni di origini e razziste, slegato dal nucleo familiare, decriminalizzazione della figura del povero e sostegni reali.
Ai diritti sommersi rispondiamo autorganizzandoci con mutualismo e solidarietà, ma non basta. Bisogna che a pagare non siano i più debolx ma coloro che speculano e si arricchiscono sui nostri territori e le nostre vite.