L’autunno si è aperto all’insegna del sovrapporsi di varie crisi che stanno investendo in maniera sempre più drammatica l’intera umanità. Non possiamo non guardare con apprensione a quello che sta succedendo, di fronte a scenari inimmaginabili fino a poco tempo fa e che per certi versi sembrano muoversi ad un livello difficilmente influenzabile, ciononostante è sempre indispensabile pensare ed agire per fare la nostra parte.
Da una parte stiamo assistendo ad una continua escalation della guerra in Ucraina che può rischiare di trasformarsi in guerra nucleare. E purtroppo non siamo all’interno del film “Dott. Stranamore”, ciò che sta accadendo nella realtà rischia di diventare qualcosa che va ben al di là della fantasia o della fantascienza. La logica imperiale di Putin e le politiche imperialiste e neo coloniali dell’occidente, che abbiamo sempre contrastato in tanti altri scenari, oltre a produrre decine di migliaia di morti tra la popolazione civile dell’Ucraina e tra i soldati di entrambe le parti in guerra, sta producendo una delle più gravi crisi legate alle fonti energetiche. Ciò che è entrato, forse irrimediabilmente, in crisi è quel processo che ha prodotto la globalizzazione dell’economia da un lato e dall’altro, un modello di sviluppo economico basato prevalentemente sulle fonti energetiche di natura fossile. Non sappiamo se questo prossimo inverno, ma anche per i prossimi anni, le economie degli stati europei saranno in grado di far fronte al forte ridimensionamento del rifornimento di gas dalla Russia. Nel frattempo, mentre le grandi aziende che si occupano di fonti energetiche stanno producendo extraprofitti enormi, chi sta già pagando il prezzo di scelte politiche folli, sono le classi meno abbienti che, in questo ultimo anno, hanno visto il taglieggiamento delle proprie già misere entrate . Tra gli aumenti del prezzo delle bollette del gas, della corrente elettrica e dei beni di prima necessità, nel corso di questo ultimo anno il potere d’acquisto si è ridotto di oltre il 10 %. Le misure adottate dal governo Draghi, ma che verranno, più o meno, riconfermate dal governo che verrà, sono pannicelli caldi che a poco serviranno per compensare la perdita del potere d’acquisto dei salari. Come sempre accade nel modo di produzione capitalistico, le crisi, di qualsiasi natura esse siano, producono trasformazioni che mirano a salvaguardare prima di tutto la tenuta del sistema.
Purtroppo, stiamo assistendo al sovrapporsi di tutta una serie di altre catastrofi che hanno a che fare direttamente con i cambiamenti climatici: pensiamo solo a quello che è successo recentemente nelle Marche e in altre regioni, al record di siccità mai registrato in precedenza di questa ultima estate, ai milioni di ettari di boschi e foreste che sono andati distrutti in tutto il mondo, dall’Australia, al Canada, agli Stati Uniti, all’Europa, frutto di un clima surriscaldato e straordinariamente secco. Per non parlare di quello che è successo in Pakistan, dove un terzo del paese è andato sott’acqua per le piogge incessanti di un mese fa e di tutti quegli eventi estremi che caratterizzano in forma sempre più violenta l’intero pianeta. Mentre Covid e nuovi virus continuano a imperversare nell’intero pianeta.
Abbiamo di fronte scenari imprevedibili e non basta denunciare la natura capitalistica sulle cause di tutto quello che sta succedendo, né tanto meno ci possono essere soluzioni miracolistiche per impedire che le catastrofi che stiamo vivendo assumano caratteristiche ancora peggiori. Per evitare che si avveri quel proverbio che recita “non c’è limite al peggio” è necessario agire qui e subito, nella consapevolezza che sono necessari movimenti di massa che sappiano impattare radicalmente con le varie forme del dominio, da est ad ovest, da nord a sud, per produrre cambiamenti radicali su tutti i piani, sia sul modello produttivo, che sugli attuali assetti del potere economico e politico.
Sulla guerra in atto siamo consapevoli che la Russia ha applicato in Ucraina logiche imperiali ed imperialistiche che non hanno nulla di diverso da quello che hanno fatto gli Stati Uniti in molte altre parti del mondo, ma è una magra consolazione, perché non aiuta di certo a porre fine alla guerra. E siamo consapevoli che per fermare le mire espansionistiche di Putin e una prospettiva catastrofica di guerra nucleare, sarebbe necessario che in Russia si producessero rivolte contro un modello di società e di potere che sta mandando al massacro decine di migliaia di giovani, così come è successo a suo tempo negli USA con la guerra del Vietnam, persa dagli Stati Uniti, sicuramente sul piano militare, ma sono state determinanti anche le rivolte dei soldati americani e della società civile negli Stati Uniti e nel mondo, per il ritiro dell’esercito USA dal Vietnam. Ciò sta già avvenendo in forma ancora insufficiente in Russia, con migliaia di giovani che abbandonano il paese e con forme di protesta nelle principali città, represse brutalmente dalla polizia. E’ quindi fondamentale sostenere tutte le forme di opposizione alla guerra imperiale della Russia contro l’Ucraina e lottare perché si faccia strada una idea di Europa dove il riconoscersi in una lingua diversa da quella dello stato confinante non possa diventare fattore di divisione e di scatenamento di guerre e dove le risorse di ogni paese, vengano inquadrate in un piano di collaborazione internazionale e non di uso in chiave nazionalistica e autarchica. A meno che non si possa pensare di poter tornare indietro di cento anni, quando lo sviluppo capitalistico era legato all’idea dell’espansione imperialistica che ha portato alle due guerre mondiali. Ipotesi forse da non escludere del tutto, ma ciò significherebbe realmente che la minaccia di una catastrofe nucleare di proporzioni impensabili diventerebbe una realtà. E nella speranza che ciò non avvenga e che vi sia un barlume di intelligenza, è necessario agire ovunque per sperimentare forme di confederalismo democratico tra popolazioni e territori che non si basino sull’idea di Stato Nazione “arricchita” dagli ingredienti Dio, Patria e Famiglia.
Tutto ciò potrebbe sembrare appartenere ad una prospettiva utopica, ma, al contrario può essere l’unica reale prospettiva che possa prevenire i conflitti armati e aprire spazi di libertà e emancipazione. Noi, nel frattempo, siamo andati in Ucraina per sostenere materialmente, senza se e senza ma, quelle realtà sindacali che stanno combattendo contro le misure liberticide di Zelenski e contro l’aggressione russa. Siamo appena rientrati da una spedizione organizzata dalla Rete Internazionale di Solidarietà e Lotta, che si è spinta fino a Khrivi Rih, per portare un aiuto concreto ad un sindacato e a quelle realtà di movimento che mentre praticano concretamente la resistenza all’invasione non accettano nuove norme restrittive sui diritti di lavoratori e lavoratrici introdotte con la scusa della guerra.
Sulla crisi climatica, in una situazione che si rappresenta sempre di più con caratteristiche di rischio di irreversibilità di alcuni processi che modificheranno profondamente la geografia umana e politica del pianeta, con conseguenze devastanti per buona parte di quella umanità sfruttata in ogni parte del mondo, non possiamo rassegnarci e dobbiamo contribuire con convinzione nel riuscire ad intrecciare le lotte per migliorare le condizioni retributive e contrattuali con quelle per produrre una inversione di tendenza rispetto alla crisi climatica in essere. In questi ultimi mesi abbiamo organizzato con Rise Up una iniziativa di lotta davanti alla Coca Cola a Nogara (VR) per denunciare la follia di normative regionali che consentono, nel pieno di una crisi di siccità senza precedenti, ad un multinazionale di continuare ad estrarre dalle falde acquifere quantità enormi di acqua. Abbiamo partecipato al Climate Camp al Lido di Venezia, portando un contributo nel dibattito per produrre convergenze concrete delle battaglie per la giustizia sociale e climatica, alla SCIOPERO CLIMATICO del 23 settembre di FFF con significative rappresentanze di lavoratori e lavoratrici, proprio perché siamo convinti che la lotta contro la crisi climatica deve convergere con quella per i diritti, contro la precarietà, per il salario minimo, per la riduzione del tempo di lavoro, contro l’esorbitante aumento del costo della vita.
Sul terreno dello sfruttamento del lavoro assistiamo ad una evoluzione impressionante delle capacità produttive grazie all’introduzione di nuove tecnologie, dall’informatica, alla robotica, alla meccanica di precisione; siamo immersi continuamente in una dimensione dove il tempo della vita diventa mezzo per estrarre profitto, anche attraverso tecnologie algoritmiche, digitali e telematiche e con strumenti come lo smart phone che mette in campo una connettività pervasiva e onnipresente. Il possesso ed il controllo di queste tecnologie da parte del capitale non solo non ha ridotto il tempo di lavoro, ma lo ha dilatato a dismisura, sia come tempo assoluto , che come produttività, lasciando inalterati in sostanza i salari. Inoltre, poiché, per avere uno smart phone non è necessario essere in possesso di un titolo di soggiorno, è diventato molto più semplice per caporali e padroni di ogni specie, (vedi l’esempio di Grafica Veneta o dei RIDERS) arruolare “fantasmi” in carne ed ossa, pagati a 3 € all’ora che svolgono lo stesso lavoro di chi è assunto regolarmente.
Dobbiamo invece trovare le capacità di riappropriarci del controllo e del sapere sullo sviluppo tecnologico per ri-orientrarlo alla funzione di liberazione dal tempo del lavoro, dalla nocività, dalla fatica.
Abbiamo già parlato di un mercato del lavoro che si muove in una situazione di inclusione differenziata di tipo legale, attraverso contratti regolari che prevedono paghe da 4,5 € all’ora e di tipo illegale, andando a pescare tra migranti senza documenti o richiedenti asilo, pagati a 3/4 € all’ora, non solo nel settore dell’agricoltura, ma anche in settori avanzati della metalmeccanica, del tessile, del ciclo alimentare, del commercio, del turismo o dell’editoria e della cultura. Ma esiste poi tutta una fascia di forza lavoro nei settori della cura, delle pulizie, delle cooperative sociali, ecc. che hanno livelli salariali bassi, nel senso che si aggirano tra i 6,5 € agli 8 € lordi all’ora.
Questa è la situazione che incrociamo tutti i giorni nell’attività sindacale ed è necessario interrogarsi sul come si possono affrontare, fuori dalle logiche concertative dei sindacati di Stato queste situazioni, per riuscire ad incidere realmente. E lo abbiamo visto nella logistica, come l’agire in un’ottica di sinergia sindacale , sia riuscita a cambiare profondamente il sistema di sfruttamento esistente, arrivando a ridimensionare fortemente l’uso delle cooperative come forme giuridiche perfette per garantire flessibilità selvaggia e superprofitti e a ottenere grandi miglioramenti nelle condizioni contrattuali e retributive. E’ questa la nostra concezione dell’intersindacalità. Che non può essere la sommatoria delle sigle sindacali che si mettono d’accordo, solo su quello, per organizzare una o più volte all’anno simulazioni di scioperi generali. Su queste scadenze liturgiche del cosiddetto “sindacalismo di base” abbiamo sempre espresso grandi perplessità e, non a caso, abbiamo sempre voluto cambiarne il segno, trasformandole in giornate di mobilitazione, scioperi e lotta legate a tematiche concrete all’interno dei territori, per rafforzare le reti organizzative interne ai posti di lavoro e le relazioni con le realtà sociali presenti in loco. Con particolare riferimento a quelle comunità conflittuali che esprimono autonomia e radicamento nel tessuto sociale e nella composizione di classe.
E’ necessario inoltre che le soggettività sindacali mettano da parte la primogenitura su chi ha un’impronta più marcata di “classe” e ci si renda conto che abbiamo bisogno di intersecare le lotte in tutti quei settori dove è possibile farlo. Lo abbiamo visto con l’esperienza positiva delle maestranze dello spettacolo e vogliamo sperimentarlo su tutte quelle filiere del lavoro povero e di quei settori che hanno bisogno di agire realmente in una ottica da rete intersindacale, dove ogni forma organizzativa radicata in determinati settori di classe mette a disposizione degli altri il proprio patrimonio di lotte e di esperienze organizzative.
Per concludere, è chiaro che avremo di fronte un quadro politico cambiato con l’arrivo di Meloni e di una destra- destra che proverà a cambiare in peggio il Reddito di Cittadinanza e cercherà di limitare il piano dei diritti civili, dall’aborto ai migranti, per il resto anche Meloni prenderà ordini dalla BCE e dalla Commissione Europea, salvo il fatto che vorranno peggiorare la normativa sul Reddito di Cittadinanza.
Per quanto ci riguarda siamo impegnati a partecipare attivamente alle prossime scadenze di movimento, a partire dalla manifestazione del 22 ottobre a Bologna, a quella di Napoli del 5 novembre e del 26 indetta da NUDM puntando molto sulla necessità di contrastare con azioni concrete l’aumento del costo della vita ed in particolare delle bollette di luce e gas e avremo modo di modulare le azioni di lotta in rapporto allo scenario che avremo davanti con l’insediamento del nuovo governo, anche in relazione alla proclamazione dello “sciopero generale nazionale” del 2 dicembre.