Nelle giornate di giovedì 30 Aprile e di Venerdì 1 Maggio sono state molte le iniziative messe in campo da lavoratori e lavoratrici che hanno aderito all’appello del patto di azione per rompere la gabbia dei divieti.
Sebbene appaia chiaro ormai che l’origine della catastrofe che stiamo vivendo sia causa del sistema di produzione predatorio, assistiamo ad una polarizzazione delle posizioni da parte di sindacati e politici: da una parte quelli del “riapriamo tutto” in nome del profitto e della ripresa della produzione, dall’altra quelli del “teniamo tutto chiuso”, spesso con derive ipersecuritarie
che spesso vanno ad incidere sulle libertà individuali e collettive, e usate come strumento di limitazione delle lotte.
L’emergenza in atto ha reso palesi molte contraddizioni insite nel nostro tessuto economico, lavorativo e sociale: troppe le categorie senza alcuna forma di tutela, troppo il peso politico delle organizzazioni padronali, Confindustria in primis, che hanno di fatto dettato l’agenda al governo e ai sindacati confederali, garantendo l’apertura alla stragrande maggioranza delle attività
produttive e senza il benchè minimo controllo sull’effettivo rispetto delle più basilari condizioni di sicurezza.
I temi sollevati nella due giorni di mobilitazioni sono stati la richiesta di un maggiore investimento sulla sanità pubblica e sulla sicurezza nei posti di lavoro, la semplificazione e l’allargamento degli ammortizzatori sociali, che devono garantire un reddito dignitoso a tutt*, a prescindere dalla tipologia di lavoro ( o non lavoro ) svolto, una sanatoria generale per i migranti senza documenti, la costruzione di percorsi di mutualismo e solidarietà dal basso non come
strumenti di volontariato ma come motori delle lotte e il rifiuto del principio del debito come exit strategy dall’emergenza in favore di una più giusta redistribuzione della ricchezza e degli investimenti.
A Vicenza hanno incrociato le braccia i lavoratori del Prix di Grisignano (VI), per chiedere l’adeguamento al quinto livello per i pickeristi, miglioramenti salariali e nelle condizioni di lavoro e di sicurezza. Nel pomeriggio poi la protesta si è spostata davanti all’INPS, con la richiesta di velocizzare i tempi per i pagamenti di CIGD e FIS.
A Padova sono stati molti i magazzini coinvolti negli scioperi: in primis i lavoratori di Aspiag/Despar di Mestrino che hanno richiesto il ritiro di 5 provvedimenti di sospensione, usati come strumento antisindacale dalla società. Con loro anche i magazzini Aspiag / Despar di
Padova, TNT, BRT, GLS, Gottardo (Tigotà), Alì, Finesso, Susa, Ceva (Monselice), SDA (a cui si sono uniti anche i lavoratori del magazzino di Marghera), Arco, Pallex, Sunglass Industry e Arco Spedizioni.
A Verona si sono fermati i magazzini GLS e TNT, dove lo sciopero ha prodotto l’impegno da parte della società di anticipare la cassa integrazione.
Anche qui nel pomeriggio la voce dei lavoratori è arrivata fino all’INPS, con la chiara richiesta di velocizzare il pagamento degli ammortizzatori sociali.
A Treviso è stato il magazzino Geox a manifestare: i lavoratori hanno protestato contro la decisione della società di non anticipare di cassa integrazione: lo stesso Polegato che si fa pubblicità donando un milione di euro alla regione nega ai propri dipendenti la possibilità di avere continuità reddituale.
Nel pomeriggio poi, insieme con il centro sociale Django e il Coordinamento degli studenti medi, la protesta è arrivata sotto la prefettura, con un messaggio chiaro: “riapriamo una stagione di lotta, reddito e diritti per tutt*”.
Anche in Emilia è stata la prefettura l’obbiettivo delle iniziative, con una striscionata che indica le responsabilità di Confindustria e del governo della diffusione del virus nei posti di lavoro.
Infine negli ospedali Sant’Antonio di Padova e Ca’ Foncello di Treviso i lavoratori del servizio sanitario e delle mense (dipendenti Serenissima) hanno protestato contro i tagli alla sanità e contro la privatizzazione dei servizi.
Infine nella giornata del primo maggio è andata in scena la protesta dei lavoratori dello spettacolo: forse il settore che risentirà per più tempo di questa emergenza, e quello con meno tutele, nonostante si parli di circa 1,5 milioni di lavoratori che muovono circa il 10% del pil italiano.
A Padova, a Venezia e in molte altre città italiane i tecnici hanno occupato simbolicamente i luoghi simbolo della cultura: il teatro Verdi a Padova e i giardini della Biennale di Venezia sono diventati il simbolo di chi spesso è invisibile agli occhi di chi assiste agli spettacoli o agli eventi, ma che con il suo lavoro ne permette lo svolgimento.
Per far si che le conseguenze di questa emergenza non vengano fatte pagare a lavoratori, precari, disoccupati ed invisibili, è necessario andare oltre ai divieti e mettere in prima linea la partecipazione e la lotta, come unici strumenti in grado di sovvertire gli attuali rapporti di forza.
Riapriamo una stagione di lotta!