di Marco Rigamo
“ Le persone comuni hanno la forza, il talento e l’abilità per combattere la divisione in classi sociali. In altre parole: continuate a lottare”. Ken Loach
“Marra” è il nome di una cagnolina di taglia piccola, vispa e vorace, che riempie la vita di TJ Ballantyne, maturo proprietario del The Old Oak, (La Vecchia Quercia), stropicciato pub che da’ il nome all’ultimo lungometraggio di Ken Loach. Siamo nel 2016 a Murton, paesino sul mare del Nordest dell’Inghilterra, un tempo centro per l’estrazione di carbone. The Old Oak è l’unico locale rimasto, ultimo superstite tra i luoghi pubblici (anche la sala parrocchiale ha chiuso) dove gli abitanti possono ancora incontrarsi, non solo per una pinta di birra. “Marra” è un termine gergale dei minatori che vuol dire pressappoco compagno, sodale su cui contare. Quanto la bestiola significhi per TJ lo capiremo solo quando lui si deciderà a raccontarcelo, quanto la solidarietà sia ancora una volta importante, il centro propulsivo del film, scritto nuovamente assieme al fido sceneggiatore e irriducibile complice Paul Laverty, lo avvertiamo invece immediatamente. Perché mentre TJ si affanna a rimettere in verticale la lettera K dell’insegna arriva inaspettato in paese un gruppo di immigrati dalla Siria. E quella K si piega ripetutamente, ma non cade.
Ken Loach, 87 anni compiuti a giugno, si è messo in viaggio per accompagnare in Italia quello che secondo lui (ma noi non ci crediamo) dovrebbe essere il suo ultimo lavoro, in cui sembra voler sistematizzare l’intero apparato di valori che ha reso il suo cinema strumento formativo militante per quelle generazioni che si ostinano a credere che un altro mondo è possibile. Ricordandoci che i minatori avevano un sindacato fortissimo e una potente coscienza civile, forte di una comunità compatta e di una tradizione di reciproco sostegno disgregati dalle politiche Tatcheriane, affronta il tema dell’immigrazione dall’angolazione più difficile: quella che vede contrapposti gli impoveriti, gli sfiduciati della working class ai richiedenti asilo in fuga da guerre, distruzioni, torture. Mettendo in evidenza l’assenza di differenza tra gli schieramenti politici istituzionali in ordine all’approccio alle problematiche sociali rimette al centro i temi della coesione, della reciproca comprensione, dell’aiuto disinteressato, dell’organizzazione dal basso. Semplicemente attraverso un pasto condiviso, perché “When you eat togheter, you stick togheter”: quando mangi assieme, resti assieme. O una sequenza di scatti fotografici di una giovane siriana tra gli specchi e i caschi asciugacapelli di una parrucchiera del Northeast. O ancora attraverso un lutto improvviso, a lungo paventato, certo non inaspettato.
Come sempre non sale in cattedra, il maestro Ken Loach, non pretende di impartire lezioni. Ci lascia fare i conti con le nostre emozioni. Realizzando ancora una volta un’opera stratificata e complessa in cui poetica e passione emergono progressivamente in filigrana, edificando poco per volta un coinvolgimento emotivo che mette il cuore un passo avanti al ragionamento politico. Dobbiamo rapportarci con l’inevitabilità dell’amarezza di chi degli scioperi duri del 1984 conserva solo un ricordo ormai sbiadito tanto quanto con l’abitudine di chi viene da lontano a essere considerato come un usurpatore o un concorrente. Trovare una lettura evoluta del gesto razzista o ignobile, comprendere le ragioni di chi è ostile. Fare i conti con le differenze tra religioni e con ciò che le accomuna, magari in mezzo alle colonne in pietra di una cattedrale millenaria, e persino con l’ineluttabile rilevanza dei social. Dobbiamo interrogarci su come sia stato possibile disperdere un patrimonio di coesione e pratica del conflitto mentre si sta ridisegnando un nuovo ordine mondiale in cui l’unico segno distintivo è la mancanza di sicurezza nel futuro. Dobbiamo ancora una volta ringraziare la saggezza e la voglia di ottimismo di Ken il Rosso, vecchia e solida quercia, augurargli lunga vita e aspettare il suo prossimo film. Nel frattempo possiamo organizzarci per l’alternanza al sostegno di quello stendardo in cui campeggiano le parole “Diritti, Solidarietà, Resistenza”.