Sabato 30 gennaio 2021 si è svolta in via telematica l’assemblea nazionale Reddito nella pandemia: riappropriazione, mutualismo e conflitto.
L’Assemblea, nata da un appello di ADL COBAS, ha visto la partecipazione di numerose realtà del mondo dell’autoorganizzazione, sindacale e sociale, in un dibattito ricco e stimolante, nonostante le difficoltà della comunicazione telematica. Riportiamo qui di seguito alcuni spunti di riflessione che scaturiscono dagli interventi fatti nell’assemblea, indirizzando chi avesse voglia di avere un quadro completo dell’assemblea, alla sintesi di tutti gli interventi che riportiamo in calce a questo documento, oppure alla riproduzione di tutta l’assemblea che si trova sulla pagina facebook di Adl Cobas e sull’home page del sito. Invitiamo allo stesso tempo, chiunque ne avesse voglia, ad intervenire con ulteriori riflessioni, per contribuire a rendere collettivo lo sforzo per proseguire il percorso che abbiamo avviato.
L’assemblea si è svolta in un contesto di grande incertezza politica e sociale, dovuta anche alla caduta del governo Conte, e che vive di cambi repentini dovuti all’imprevedibilità della situazione.
Ciò che è certo è che la pandemia ha accelerato un processo di ristrutturazione capitalistica che passa attraverso la ridefinizione dei tempi di lavoro / non lavoro, la precarizzazione dei rapporti di lavoro, l’accentramento della ricchezza in alcuni settori come le piattaforme digitali o la logistica, il dominio della finanza esercitato attraverso il meccanismo del debito e l’utilizzo della tecnologia come strumento di ulteriore aumento dello sfruttamento della forza lavoro.
Tutto ciò va posto all’interno dell’attuale modo capitalistico di produzione che ha impattato pesantemente con tutte le relazioni socio ecologiche della biosfera. La crisi sistemica dovuta al fatto che non può esistere una crescita infinita sta obbligando il capitale a cercare una transizione energetica attraverso il green washing con le multinazionali digitali che stanno facendo enormi profitti.
Nella pandemia si è monetizzato il rischio sanitario, promuovendo una nuova cultura del rischio sanitario. In questo quadro, la battaglia, o le battaglie per il reddito vanno viste nell’intreccio di vertenze-conflitti con quella ecologica radicate nei territori per la riappropriazione della ricchezza, per la salute come bene comune. Si tratta di riuscire a comporre un mosaico, renderlo vivo, evitando la frammentazione dei conflitti, ragionando in un periodo medio-lungo.
Il terreno che abbiamo di fronte è un terreno inesplorato, rispetto al quale è necessario dotarci degli strumenti per essere interni ai processi sociali e non essere relegati al ruolo di tifosi o spettatori. L’impatto della crisi pandemica si sta abbattendo sul corpo sociale seguendo le linee della discriminazione, colpendo le classi inferiori, le donne e i migranti.
Basti pensare ai dati sull’incidenza della perdita di lavoro, completamente sbilanciato nei confronti del lavoro femminile, o come il lockdown e la chiusura della scuola abbiano causato un enorme sovraccarico di lavoro soprattutto per le donne, andando quindi a pesare sulle condizioni sul terreno della riproduzione.
La macelleria sociale è già in atto: dai contratti a termine non rinnovati a tutto quel mondo di lavoratori e lavoratrici in nero che da un giorno all’altro si sono trovati senza più nulla. Solo la capacità di intessere relazioni con tutte quelle esperienze di lotta e di organismi sociali presenti nei territori che rivendicano miglioramenti della qualità di vita può permetterci di indirizzare l’inevitabile risposta sociale all’impoverimento dal basso verso l’alto, con un approccio rivendicativo di classe.
Alludere al riconoscimento di una forma di reddito universale come retribuzione per il lavoro non pagato e come reddito per poter vivere a prescindere dal lavoro, a forme di welfare unico ed universale e ad un salario minimo europeo diventa quindi una prospettiva fondamentale per poter creare contronarrazione e orizzonti di lotta.
Alcuni percorsi virtuosi come quello delle maestranze dello spettacolo, dei riders o degli operatori sociali ci parlano esattamente di questa capacità di stare dentro processi di lotta e di tradurre all’interno di singoli settori delle rivendicazioni a carattere generale: riconoscere come lavoro il tempo di studio o di preparazione delle maestranze dello spettacolo significa opporsi alla ridefinizione dei tempi di lavoro; lottare per i diritti dei riders vuol dire lottare contro l’”uberizzazione” del lavoro e per una più equa redistribuzione della ricchezza; lottare per trasformare il lavoro degli operatori sociali, privatizzato, precarizzato e mal pagato in un servizio pubblico di fondamentale importanza per la tutela delle fasce più deboli della società.
In questo senso sarà importante attraversare le giornate di lotta proposte dalla Rete Intersindacale dei Professionisti dello Spettacolo e della Cultura previste per il 23 Febbraio e in occasione del festival di Sanremo.
Allo stesso tempo sarà di fondamentale importanza organizzare anche i lavoratori dei comparti più colpiti dalla crisi, come quello del Turismo. In particolare a Venezia, il collasso dell’industria del Turismo che per anni l’ha spolpata (dalle grandi navi al costo insostenibile della vita), sta producendo la miseria per migliaia di lavoratori. In questo settore oltretutto abbiamo di fronte una composizione soprattutto femmilile, con part time involontari, cottimo dilagante e super sfruttamento.
Diventa quindi evidente la necessità di intrecciare le lotte che si stanno delineando sul diritto al reddito con altre lotte presenti per il diritto alla casa, contro la devastazione della città e contro le grandi navi, intercettando altri soggetti quali ad esempio gli studenti e lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, e che vedrà una prima scadenza per il 19 febbraio.
Come ci insegnano le lotte dei lavoratori della logistica l’obbiettivo diventa quindi la creazione di rigidità sociale sulla base della quale organizzarsi e rivendicare condizioni migliori di vita e di lavoro, in un contesto disgregato, precarizzato che è il prodotto del sistema capitalistico nel quale viviamo.
Uno degli strumenti che abbiamo sono le pratiche mutualistiche, che come abbiamo potuto vedere sono diffusissime nel nostro territorio: dalla Caracol Olol Jackson di Vicenza, alla Brigata di Soccorso Rosso di Milano fino ad arrivare all’ambulatorio popolare Centro Storico di Palermo: costruire forme di comunità e di pratica del comune in modo capillare nei quartieri che siano in grado di incidere con le lotte sulla qualità della vita e che provino ad andare oltre all’erogazione di servizi diventando basi per organizzare le mobilitazioni ed il conflitto, la riappropriazione di fette di reddito e di servizi sono strumenti di accumulo che alludono alla creazione di forme di rigidità sociale.
In questo senso dobbiamo liberarci dall’idea di “difendere” livelli di vita sempre in peggioramento, per riappropriarci di un approccio che vada all’attacco, con la voglia di sperimentare, nelle città, nei quartieri, nei centri sociali. Il “Defund the police” che abbiamo sentito riecheggiare da oltre oceano ci parla di questa prospettiva, per cui l’unica sicurezza di cui abbiamo bisogno è quella sociale.
Davanti a noi abbiamo la partita sul Recovery fund, che in questo momento si sta giocando a livello istituzionale con lo scontro di potere in atto.
La verità è che dietro la caduta del governo e l’affidamento a Draghi del compito di formare un governo c’è una lotta per definire chi deciderà come gestire quei soldi e chi li riceverà. Ci ricordiamo bene quando Bonomi diceva “I soldi dateli tutti a noi che sappiamo poi come gestirli e distribuirli”!
Costruire quelle forme di comunità e di rigidità è fondamentale per riuscire ad imporre le modalità con cui verranno gestiti quei soldi e rimettere al centro i nostri bisogni, rifiutando la gestione centralizzata e dando un carattere territoriale alla vertenza in cui le controparti siano ad esempio i comuni, le regioni, confindustria, le piattaforme digitali. E’ necessario opporsi all’utilizzo del recovery plan come ulteriore aggravamento del debito pubblico spalmato sulle classi più deboli e sulla conseguente finanziarizzazione dei beni comuni e dei diritti.
La domanda che dobbiamo porci è: quali prospettive ci diamo?
Crediamo nella costruzione di uno spazio nazionale ed europeo di condivisione delle lotte, che passino dalla nascita di percorsi territoriali in tutte le città che risuonino tra loro e che ci permettano di pensare anche a scadenze comuni:
– La data dell’8 marzo, data di lotta delle realtà transfemministe, che ADL Cobas ha deciso di attraversare per provare a praticare l’intersezionalità e costruire insieme, localmente, meccanismi di mobilitazione e sciopero;
– Una mobilitazione legata alla prevista conclusione del blocco dei licenziamenti prevista per fine marzo, e del blocco degli sfratti previsto per fine giugno;
– Infine non possiamo dimenticarci che quest’anno ci sarà il semestre di presidenza italiana del G20, che ci vedrà ospitare una serie di appuntamenti (dal meeting delle banche di Venezia dal 9 all’11 Luglio fino al meeting finale del G20 previsto per la fine di ottobre a Roma), e che, lungi dall’evocare controvertici, può dare respiro alle nostre rivendicazioni se saremo in grado di costruire un coordinamento delle lotte territoriali.
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