Dai dati ufficiali sul tasso di inflazione registrati negli ultimi 17 mesi (intorno al 12% su base annua), si evince che dall’inizio del 2022 e prevedendo che non ci sarà un sostanziale calo dell’inflazione anche nel 2023, su un reddito netto di 30.000 € ci sarà una perdita netta del potere d’acquisto dei salari di quasi 4000 €). Per chi va a fare la spesa, c’è voluto poco a capire che per acquistare lo stesso quantitativo di prodotti ci vogliono più soldi. Così come ci si è resi conto immediatamente di quanto siano schizzate le bollette di elettricità, gas e acqua, contenute momentaneamente dall’intervento del Governo, ma destinate a schizzare in su con un aumento previsto del 10% da luglio a settembre, rispetto al periodo aprile-giugno, e del 25% nell’ultimo trimestre dell’anno.
Quindi è evidente che ci troviamo di fronte a un’emergenza salariale senza precedenti, rispetto al quale l’intervento del Governo sulla decontribuzione tra il 2022 e il 2023 compenserà la perdita del potere d’acquisto dei salari in forma molto ridotta, mentre per il 2024 al momento nulla è previsto.
A fronte di tutto ciò, non si bada a spese per gli investimenti sugli armamenti, si favoriscono gli evasori fiscali, si è creato un sistema fiscale del tutto iniquo, si taglia il reddito di cittadinanza, si destruttura il sistema di welfare e si definanzia la spesa sociale persino su settori basilari come la sanità, si favorisce infine un’ulteriore precarizzazione del lavoro.
Emerge inoltre in modo molto chiaro che questa inflazione non è causata certamente dalla rincorsa dei salari sui prezzi, ma è un’inflazione da profitti. Nell’Eurozona una crescente evidenza statistica sta portando alla luce che buona parte dell’inflazione è spinta dai profitti delle società, le quali – in alcuni settori – hanno in media alzato i listini più di quanto fosse necessario per coprire i maggiori costi di produzione. A scriverlo è stata la stessa Banca Centrale Europea (BCE). Fino all’inizio del 2022 è stata l’energia a fare da padrona, con un aumento degli utili rispetto al periodo pre-pandemia di oltre il 50%. Ma nell’ultimo anno altri settori si sono aggiunti alla corsa al profitto: il settore agricolo ha segnato un aumento di oltre un quarto, la manifattura, le costruzioni e i settori di distribuzione, trasporti e turismo di circa il 15%.
Questi sono dati oggettivi, e mentre in alcuni altri paesi (Germania e Spagna) gli scioperi hanno prodotto un recupero salariale importante, in Italia, al di là delle chiacchiere dei sindacati confederali, nulla si muove in termini di rivendicazioni salariali, in Italia dobbiamo assistere anche alla farsa dell’accordo siglato dalla triplice sul contratto della “vigilanza Privata” che ha portato le buste paga di questi lavoratori dai 700 € al mese a 750 circa.
È a partire da queste semplici considerazioni che vogliamo porre con chiarezza il problema di avviare un nuovo ciclo di lotte – a partire da dove i rapporti di forza lo possono consentire, in particolar modo dal settore del Trasporto Merci, della Logistica e della Grande Distribuzione Organizzata – che ponga con forza la questione del recupero effettivo e sostanziale di salario. Settori nei quali è evidente che le innumerevoli inchieste giudiziarie che si sono aperte hanno fatto anche emergere in modo dirompente la crisi netta del sistema degli appalti.
Con queste premesse siamo convinti che si debba avviare un nuovo ciclo di lotte che abbia in maniera chiara l’obiettivo di aumentare i salari in tutte le forme possibili e di cambiare in senso progressivo un sistema di tassazione assurdo sul reddito da lavoro che, al momento attuale, passa al 35 % per chi supera i 28000 € lordi di imponibile fiscale, e infine di superare in maniera definitiva il sistema degli appalti causa di compressione di diritti e retribuzioni.
In questo senso, vogliamo lanciare un appello a tutte le realtà sindacali che intendono aprire questo nuovo ciclo di lotte reali.
È quindi necessario aprire una vertenza generale, articolata tra i vari settori del lavoro e delle relative filiere, ai quali vanno chiesti aumenti salariali in grado di compensare la perdita del potere d’acquisto: in questo senso, ci sembra necessario costruire una campagna politica attorno a due parole d’ordine che tengono insieme la questione salariale: da un lato, in quei settori del lavoro povero (servizi fiduciari, multiservizi, cooperative sociali, ecc.) avviare percorsi di lotta con la parola d’ordine di un SALARIO MINIMO ORARIO DI 10 €.
Dall’altro, in tutti gli altri settori dove i salari non sono sotto la soglia dei 9€ portare avanti una battaglia con la parola d’ordine 1 € IN PIÙ ALL’ORA, PER INIZIARE.
A fronte dell’immobilismo dei sindacati confederali che si limitano a lamentarsi dell’inflazione, diventa prioritario dare vita ad un nuovo movimento di lotta, a partire dal mondo della logistica, così come abbiamo fatto oltre 10 anni fa, quando con la lotta e con la determinazione dei facchini e degli autisti, siamo riusciti a cambiare radicalmente quel mondo che si basava su schiavitù e caporalato.
Proprio in questo settore, dove il ciclo di lotte deve riprendere (ma auspichiamo non rimanga confinato), rilanciare una piattaforma di lotta che trovi una necessaria articolazione nei riguardi dei vari altri istituti della busta paga,anche in vista della scadenza del CCNL Trasporto Merci a Marzo 2024: dagli scatti di anzianità fermi al numero di 5, dal lavoro notturno retribuito con maggiorazioni troppo basse, alla necessaria riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
A partire questo settore trainante, è possibile innescare dinamiche di lotta anche in quei settori dove esistono vergognose retribuzioni, come avviene nel mondo della vigilanza privata e delle pulizie e in molti altri settori, rivendicando un salario minimo orario di almeno 10 €.
Siamo infatti consapevoli che se la stragrande maggioranza della popolazione è a favore del salario minimo, e se in questa fase esiste a livello politico un dibattito pubblico sul tema, la possibilità che si produca una legge sul salario minimo dipende però solo dalla capacità di aprire una vera e propria campagna per il salario che si muova su vari piani, in primis i posti di lavoro e le piazze.
Va pertanto definita una data di inizio di questa nuova vertenzialità individuando tutte le controparti alle quali indirizzare precise richieste, con l’intento di sondare il terreno andando verso un autunno in cui ipotizzare forme di lotta che riescano ad essere incisive. In questo senso andremo ad inoltrare una piattaforma di lotta a tutte le associazioni di categoria del Trasporto Merci, Logistica, della Grande Distribuzione e al Governo con precise richieste di aumenti salariali netti che non dovranno andare ad incidere sull’’imponibile contributivo e fiscale.
Alla luce oramai dei disastri ambientali che sempre più intensamente ci colpiscono, non possiamo non agire con la massima determinazione in questo passaggio decisivo che riguarda il salario per mettere in primo piano e a pieno titolo anche la battaglia perché i soldi del PNRR e le enormi cifre di profitti accumulati, oltre che essere destinati a migliorare le condizioni salariali, vengano investiti nel mettere in sicurezza i territori e garantire un welfare moderno e di qualità, e non certo per alimentare ulteriormente la spesa militare, le grandi opere inutili e il consumo di suolo, le filiere di produzione e consumo dei combustibili fossili.
Su queste basi pensiamo che sia giusto proporre a tutte le altre OO.SS e realtà di lotta di costruire un percorso di mobilitazione e lotta con la precisa volontà di condividere l’intento concreto, materiale e non propagandistico di incidere nella realtà del conflitto di classe tra capitale e lavoro/vita, nella consapevolezza che gli obiettivi rivendicati non si possono ottenere nell’indizione di scioperi generali, da parte delle varie sigle del “sindacalismo di base”
Come Adl Cobas convochiamo attorno alla giornata del 15 settembre assemblee dei/lle delegati/e delle varie aree territoriali per formulare proposte concrete sul terreno degli obiettivi e del percorso di lotta.