A partire dalla metà di Maggio è iniziata la vertenza dei lavoratori del magazzino di Via Industria 9 a Parma, importante centro logistico inserito nella filiera distributiva di Coop Alleanza 3.0, da dove partono i “generi vari” a marchio COOP per tutti i punti-vendita della regione Emilia-Romagna e non solo.
Il magazzino, inaugurato nel marzo del 2020, è però gestito con il solito intricato meccanismo di appalti, subappalti e cooperative; meccanismo grazie al quale si mettono in campo i più pericolosi abusi e dinamiche di sfruttamento tipiche della logistica.
Se Coop Alleanza è di fatto il committente unico, il magazzino è in carico all’operatore logistico Kamila, del gruppo lombardo ITALTRANS. Il quale a sua volta ha affidato la gestione del magazzino a ben tre cooperative sulle quali sono suddivisi i lavoratori.
In particolare due, la cooperativa MD Service del consorzio CISA e la cooperativa MAXI del consorzio SAFRA, svolgono praticamente le identiche attività (picking, preparazione degli ordini) in forma promiscua e di fatto competitiva tra esse, a tutto discapito dei lavoratori.
Perché diversi soggetti gestori significano una logica concorrenziale intestina che spinge al ribasso le condizioni di lavoro degli addetti fino al mancato rispetto delle normative, dei contratti nazionali, della dignità e dei diritti più basilari.
La situazione del magazzino infatti è caratterizzata da un strutturale sistema di precarietà e di compressione salariale.
Oltre il 70% dei lavoratori delle due cooperative sono impiegati con contratti a termine, che spesso vengono portati al limite dei 24 mesi per poi essere sostituiti con nuovo personale (anch’esso precario). Oltre che essere sindacalmente e socialmente inaccettabile, una tale quota di contratti precari viola i limiti contrattuali massimi del 35% sul totale del personale stabile.
L’evidente condizione di fragilità e costante vulnerabilità ai quali sono sottoposti i lavoratori si riversa chiaramente anche sulle condizioni lavorative e salariali.
I facchini infatti hanno finora dovuto accettare livelli retributivi inferiori a quelli previsti dal contratto nazionale, inquadrati ai livelli più bassi (6° o 6°j) con paghe anche al di sotto dei 8€ lordi all’ora, per un lavoro insicuro, duro e faticoso.
La produttività, fare “la media” di colli/h, è infatti imperativo per avere la garanzia di lavorare e vedersi rinnovato il contratto, altrimenti si viene messi “a riposo” o essere sbattuti definitivamente fuori. Ritmi di lavoro incessanti e giornate infinite perché per la soddisfazione del cliente COOP e la chiusura in giornata degli ordini si traduce nell’imposizione di doppi turni e giornate di lavoro di 12-13 ore.
Condizioni da vero proprio sfruttamento con buste paga che raggiungo a stento 1300€ netti al mese per una media di 200 ore di lavoro.
Ma questo sistema di precarietà e sfruttamento genera ed è al contempo alimentato anche da fenomeni peggiori come quello del caporalato.
I lavoratori infatti hanno raccontato che spesso a selezionarli non è stata direttamente la cooperativa ma qualche suo dipendente di lunga data che li ha reclutati chiedendo per garantire l’assunzione 200 o 300 euro a persona. E poi continuando a chiedere soldi ogni volta che il contratto, costantemente a termine, sta per scadere per “mettere una buona parola” per il rinnovo.
Un circolo vizioso che non è scollegato dal sistema lavorativo promosso da cooperative e committenti, ma al contrario il fenomeno illegale e odioso del caporalato è prospera ed è reso funzionale proprio dal modello di precarietà contrattuale presente nel magazzino.
Contro tutto questo i lavoratori hanno iniziato ad organizzarsi.
Da Maggio diverse decine di lavoratori di entrambe le cooperative si sono infatti iscritti all’ADL Cobas, dopo essersi inizialmente rivolti alla CISL che però evidentemente non ha mosso un dito se è vero che numerosi lavoratori iscritti sono stati lasciati a casa tra febbraio e aprile. La CISL avrebbe anche sottoscritto un accordo a Febbraio i frutti del quale, appunto, sono appunto questi: in cambio di qualche rara assunzione decine di lavoratori mandati a casa o che non hanno alcuna garanzia.
Dopo aver tentato invano di aprire un confronto sindacale, dunque sindacato e lavoratori hanno deciso di iniziare un percorso di lotta: prima il 20 e poi il 30 e 31 Maggio hanno preso vita intense giornate di sciopero che hanno anche rallentato fortemente i mezzi subendo infine la repressione poliziesca con ripetuti tentativi di sgombero dei picchetti. Solo grazie alla resistenza e alla determinazione dei lavoratori si è comunque riusciti a strappare la convocazione da parte della Prefettura.
Ad oggi, però, gli incontri sindacali che sono seguiti non hanno portato ad alcun avanzamento sostanziale e hanno dimostrato solo un’apertura di facciata: le cooperative hanno confermato infatti di voler mantenere sostanzialmente inalterato il modello organizzativo e contrattuale precario e sottopagato, rivendicando mano libera nella scelta di chi (eventualmente) stabilizzare o “premiare” con qualche riconoscimento salariale.
Nel frattempo i primi lavoratori sono stati lasciati a casa ed è iniziata una “strategia delle tensione” con lettere disciplinari, sospensioni cautelari, provocazione da parte di responsabili e crumiri a danno dei lavoratori iscritti al sindacato.
Lavoratori che però non hanno intenzione di mollare e che insieme all’ADL Cobas hanno tutta l’intenzione di rilanciare una piano di denuncia e mobilitazione per raggiungere i punti fermi: stabilizzazione del personale, salari giusti, ritmi di lavoro sostenibili!
Perché come hanno dichiarato i lavoratori in sciopero ai vari scagnozzi di Kamila e delle cooperative quando li minacciavano di farli finire in strada, questa è certo una lotta per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro ma anche per chi verrà dopo e per i/le tanti/e altri/e che devono lavorare per vivere.
Una battaglia per la dignità della vita contro il ricatto del lavoro povero e precario: per questo è necessario proseguire con il sostegno di tante e tanti…